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La7, ‘Bianco e Nero’: quanto è difficile fare un programma di cronaca nera

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Non c’è editore televisivo, specie se è anche presente nella stampa popolare, come Cairo o Berlusconi, che non sia interessato a portare nei suoi canali vari programmi di cronaca. La ragione sta nel gioco di rimbalzi fra stampa, tv e social network e nel conseguente vortice che – a beneficio degli investitori pubblicitari – coinvolge e ritaglia target di pubblico: le signore, ma anche molti signori, curiosi della “rosa”, i signori, ma anche molte signore, presi dalla “politica”, i maschi attenti alla “sportiva”, i giovani divoratori della “strana”, fino, ovviamente, ai tanti che allungano l’occhio e l’orecchio alla “nera”, che fra tutti tipi di cronaca parrebbe il più facile per tirare su ascolti. Ma ecco che ti arriva l’esiguo risultato (sotto il 2% e con una percentuale di permanenza da toccata e fuga) di Bianco e Nero, il secondo tentativo di La7, stavolta firmato da Luca Telese, dopo il Linea Gialla di Sottile un paio di stagioni or sono.

Eppure radunare platee parrebbe facile parlando, come è proprio della “nera”, di delitti privati e cioè della reciproca pericolosità insita nei rapporti sociali, anche i più intimi (pensiamo alla ininterrotta strage di familiari). In altri termini la nera ci dice che i rapporti sociali di chiunque sono a doppio taglio: da un lato l’affettività della famiglia, il cameratismo del lavoro etc; dall’altro lato l’aggressività dei “fratelli coltelli”, da Caino e Giacobbe in poi. E se tanto vale per i fratelli, figuriamoci per cugini, suoceri, vicini di casa, compagni di scuola e via frequentandosi. Ecco perché quando il TG dirama l’ennesimo delittuoso annuncio tutti smettono la distrazione, giacché “sanno” che solo per caso non è per loro che ha suonato la campana.

E tuttavia, proprio per il coinvolgimento degli spettatori nei moventi di qualsiasi delitto, è difficilissimo fare un programma di cronaca nera. Restare ai fatti, come un giudice, può bastare al TG. Ma un programma serale, specie se fluviale, deve avere un approccio psicologico e, principalmente “narrativo” perché lo spettatore per placare la propria ansia chiede innanzitutto di “cercare la spiegazione” gestendo il magma dell’ambiguità, non negandolo. E perché il confine fra “noi” e il “delitto” si stempera in mille ambiguità che solo una narrazione potente e insieme delicata – come nel collaudatissimo Chi l’ha visto – sa riportare all’intimo dei maschi e, specialmente delle femmine, armati di telecomando.

Ma saremmo, in tal caso esattamente il contrario, per tornare Bianco e Nero, dello spartire il nero del crimine dal bianco della verità. Dal che consegue il dubbio che sia il concept stesso del programma a determinare il prevalere della notizia (tanto peggio se stravecchia) sul racconto e a risultare autodistruttivo quanto ad ascolti. Riprovaci ancora Luca!

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