La costola cinese dell'associazione Feminist Voice aveva riproposto la traduzione di un articolo-appello in cui si chiedeva una mobilitazione contro la violenze sulle donne e le politiche misogine del tycoon. Il governo di Pechino ha fatto rimuovere la pubblicazione e oscurato il profilo social. E' l'ennesimo passo verso la distensione nei rapporti col presidente degli Stati Uniti
L’account Weibo di Feminist Voice in China, gestito da alcune note attiviste cinesi, è stato disattivato dalle autorità di Pechino per 30 giorni a partire da lunedì scorso. Motivo: una non ben precisata “violazione delle leggi dello Stato“, stando ad una nota recapitata dal gruppo. Il tempismo con cui è arrivato il bavaglio, tuttavia, parrebbe suggerire molto di più. Come chiarisce al Guardian l’editor Xiong Jing, appena sei giorni fa “Feminist Voice” si era fatto promotore di uno “sciopero internazionale“, riproponendo sul proprio profilo Weibo – aperto nel 2010 e seguito da 80mila follower – la traduzione cinese di un articolo scritto da alcune femministe di stanza negli Stati Uniti. Nell’appello originale si faceva riferimento a una mobilitazione volta a combattere le violenze sulle donne e a sostenere i diritti riproduttivi in risposta alle “politiche razziste, misogine, transfobiche e omofobe” di Donald Trump. L’articolo è stato rimosso dalla piattaforma di microblogging Weibo alcuni giorni dopo la pubblicazione.
In mancanza di chiarimenti ufficiali, diversi elementi suggeriscono che l’operato dei censori non vada letto esclusivamente come una misura preventiva per evitare il verificarsi di proteste e altre iniziative pericolose per la stabilità del Paese – sebbene l’appropinquarsi dell’annuale Assemblea Nazionale del Popolo (il parlamento cinese che si riunisce in marzo) giustifichi in parte un controllo più serrato del web. Non è la prima volta che l’ossessione di Pechino per l'”armonia sociale” colpisce il movimento femminista cinese: nel marzo 2015 cinque attiviste furono arrestate, e poi rilasciate su cauzione, per aver organizzato una campagna contro le molestie sessuali. Un caso che all’epoca scatenò le critiche della comunità internazionale e spinse Hillary Clinton a definire il presidente Xi Jinping “senza vergogna” per aver presenziato alla cerimonia tenuta dalle Nazioni Unite per commemorare i vent’anni dalla Conferenza mondiale sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995. Difficilmente il nuovo inquilino dello Studio Ovale – ben noto per le sue gaffe misogine – si dimostrerà altrettanto solidale nei confronti delle attiviste cinesi.
“Supponiamo che il blocco totale dell’account, il primo dal 2010, sia avvenuto per via di alcuni nostri tweet circa le proteste femminili contro Trump“, spiega Xiong in un’intervista rilasciata a Radio Free Asia, chiarendo che l’obiettivo dei post era quello di informare su quanto sta accadendo negli States, non di espandere le rimostranze in Cina. D’altronde, non è la prima volta che l’attivismo “rosa” d’oltre Muraglia prende di mira il nuovo presidente americano. A metà dicembre era stata Zheng Churan, una delle cinque ragazze finite agli arresti, a rivolgersi a “The Donald” autografando una lettera dal messaggio inequivocabile: “Hey Trump, le femministe cinesi ti tengono d’occhio”. La missiva, indirizzata alla Trump Tower e ripubblicata sull’app WeChat, chiariva che “anche se qui, in Cina, siamo lontane, abbiamo letto notizie riguardanti il tuo costante coinvolgimento nelle discriminazioni di genere […] le persone che guardano le donne dall’alto vero il basso un giorno dovranno rispondere dei loro commenti offensivi e sessisti”.
Affermazioni minacciose che a un mese dall’insediamento ufficiale di Trump alla Casa Bianca assumono nuove valenze politiche. Negli ultimi mesi gli equilibri diplomatici tra le due sponde del Pacifico sono stati messi a dura prova da una serie di dichiarazioni incendiarie da parte del nuovo presidente statunitense. Alle critiche sferzate in campagna elettorale contro le strategie monetarie e commerciali del gigante asiatico, a dicembre si è aggiunta una provocatoria messa in discussione del principio “una sola Cina“, che dagli anni ’70 funge da principio cardine delle relazioni sino-americane precludendo al vertice della Casa Bianca di intrattenere contatti diretti con Taiwan, nonostante Washington continui a sostenere militarmente l’isola.
Grazie all’opera pacificatrice dell’entourage di Trump, recentemente la tensione tra le due superpotenze pare essersi parzialmente sgonfiata. Complice l’insolita morigeratezza mantenuta dalle autorità cinesi, restie a rilasciare dichiarazioni troppo accese sulla condotta del nuovo presidente statunitense. Come rivelano dispacci interni diramati il mese scorso dal dipartimento della propaganda, i media nazionali sono stati invitati a rilassare i toni. “Qualsiasi notizia riguardo Trump deve essere maneggiata con cura; la critica non autorizzata di quanto detto o fatto da Trump non è permessa”, si legge nella nota tradotta dal sito China Digital Times.
di Alessandra Colarizi