La voce non cambia nel tempo e non invecchia, almeno così ho riscontrato nel caso di quelle di alcune persone a me molto care, che non ci sono più, il cui suono riecheggia nella mia testa e in qualche registrazione, riportando a galla ricordi e commozione. Così accade che in questi giorni luttuosi in cui ho perso ‘Ziada’ (zia Ada), pilastro della mia infanzia felice, sia scomparso anche l’amico Enzo Carella: mi permetto di chiamarlo tale perché sono sicura che così considerava anche me, nonostante fossero solo sei anni che eravamo in contatto, un contatto fatto di chat e qualche telefonata, mai arricchito purtroppo da uno sguardo, un sorriso e un abbraccio davanti a quel caffè che per pudore (suo) e per contrattempi (miei) non siamo riusciti a concederci. Nemmeno quando a un certo punto sono venuta ad abitare a Roma, vicinissima al suo quartiere.
Avrei voluto mettermi al servizio della sua genialità e del suo smarrimento come penso, leggendo l’affetto dei suoi fan, avrebbero voluto fare in tanti, per vederlo di nuovo felice di fare musica, perché gli mancava terribilmente, credo.
Enzo Carella mi aveva telefonato la prima volta per chiedermi informazioni sull’autoproduzione. Un artista della ‘vecchia guardia‘, abituato a una discografia che io non ho mai conosciuto sulla mia pelle, che si voleva confrontare con questo nuovo modo di fare musica, quello di gente come me che si autoproduce, per necessità o per scelta. Ai miei racconti non aveva reagito con grande entusiasmo, forse per via della mole di lavoro che toccava fare in prima persona, mentre il suo genio e la sua originalità avrebbero saputo (per la sua pregressa esperienza) e dovuto (questo lo aggiungo io) essere asservite solo al prodotto artistico, delegando ad altri i compiti diversi, come da tradizione. Mi rammaricai per questo, temendo magari di averlo distolto con il mio esempio, ma lui, tenero, dolce, puro, mi diceva cose tipo che avrebbe avuto bisogno di una come me come ‘manager’ per dargli una mano, perché diceva di essere un disastro nelle cose pratiche. Più avanti mi chiese del crowdfunding, visto che il mio secondo album non solo era autoprodotto, ma anche stampato con una produzione dal basso. Gli raccontai il mio punto di vista tramite il mio percorso. Aveva intenzione di avviare un progetto anche lui con la stessa piattaforma di cui mi ero servita io (Musicraiser). Sentiva l’urgenza di fare, ma era consapevole che non avrebbe avuto la forza di realizzare da solo le sue idee.
Con estrema umiltà mi aveva chiesto di ascoltare le mie canzoni, e lo aveva fatto davvero, riempiendomi di complimenti, giudicando il mio lavoro allegro, leggero, gradevole e apprezzando soprattutto proprio la mia voce che gli piaceva perché non era impostata e poi, diceva: ‘c’hai il ritmo… che non è una cosa da poco’.
L’impressione che avevo, ogni volta che parlavamo, era di un uomo ingabbiato, intrappolato nella disillusione sul presente musicale, scoraggiato dalle difficoltà anche economiche del mercato discografico attuale dove pensava che nessuno investisse più, che nessuno comprasse più dischi, che nessuno si rendesse conto che comprare dischi era importante e lui non aveva più l’entusiasmo di un giovane, diceva, e probabilmente era poco fiducioso nelle realtà indipendenti dove non c’erano magari gli adeguati investimenti economici necessari, secondo lui.
Sono sicura che dal punto di vista umano fosse un animo gentile come sempre gentile è stato al telefono, con quella voce da ragazzo, intonsa come l’ho sentita in qualche intervista del periodo d’oro, con la quale mi raccontava cose tipo che andava al bar al mattino presto a mangiare il cornetto caldo perché a casa non aveva mai i biscotti e il latte.
Ed ora provo rimpianti e sensi di colpa per non aver potuto fare di più, e forse sono le stesse sensazioni che provano tanti come me, quegli affezionati estimatori del suo talento che interagivano con lui sul suo profilo facebook auspicando un suo ritorno e attendendo novità, e che penso si sarebbero mobilitati davvero perché uscisse un nuovo lavoro con gli inediti che aveva ritrovato nei suoi archivi emersi chissà da dove.
Voglio concludere con una frase che mi scrisse una volta quando mi lamentavo che le cose non andavano come dovevano: ‘mannaggia, la vita si fa sempre più difficile, è dura resistere ai colpi… ma risorgeremo (fosse vero!)’.
Ciao Enzo, ci hai lasciato un patrimonio di note soavi, lievi, raffinate, incastonate con quelle estrose, originali e intelligenti parole ‘panelliane’, forse incomprensibili a coloro che non ti hanno lodato a sufficienza, ma di immortale bellezza per la nostra migliore canzone italiana.