FENCES di Denzel Washington. Con Denzel Washington, Viola Davis, Stephen Henderson. Usa, 2016. Durata: 138’. Voto 3/5 (DT)
Avete presente quando si esce un po’ storditi dalla sala dicendo: “questo film è molto teatrale”? Ecco Fences è l’esempio più eclatante di questa risaputa classificazione. Un’unità di spazio pressoché identica per tutto il film, il cortile di casa di Troy Maxon; l’inchiodatura al muro dei dialoghi che sovrastano e quasi cancellano il gusto per l’immagine; la recitazione drammaturgicamente convenzionale attorno ad un burbero padre di famiglia nero nella Pittsburgh anni ’50, netturbino sbevazzone e chiacchierone che cerca di trasmettere il valore del sacrificio e dell’affermazione di un faticoso orgoglio nero oltre l’individualismo sognatore dei figli. Fences sulla carta doveva essere un mastodontico affresco sull’emancipazione sociale Usa nel dopoguerra (“i bianchi guidano, i neri raccolgono la spazzatura”). In realtà è un sovrabbondante chiacchiericcio “da bar” con impennata tragica negli ultimi 30 minuti, al ritmo della camminata malinconico-strascicata “walking blues” del protagonista. Washington regista muove il minimo indispensabile la macchina da presa senza mai illudere di una dinamicità di sguardo inesistente. La Davis, interpretando la madre/moglie apparentemente adorata dal marito, con la sua personale oppressione nell’ultima parte del film, devia ulteriormente il senso politico del testo sul passivo ruolo della donna in una società comunque patriarcale, conquistando silenziosamente la scena.