Qual è il Karma occidentale? Tutti tuttologi del web: coca dei popoli, oppio dei poveri, storie dal gran finale, per tutti un’ora d’aria, di gloria. Lo ammetto non sono parole mie, le ho prese da una canzone che di recente spopola. Si è chiuso da poco il festival delle parole ostili, con un manifesto in teoria condivisibile: tutti a dibattere della pericolosità delle fake news nel web, cyberbullismo, tutti a gridare all’orrore di queste notizie che inquinano la mente del popolo.
È bello vedere che i grandi media group come Google e Facebook si sono dati un prima svegliata. Lo stesso Zuckerberg ha, finalmente, ammesso (dopo alcuni mesi) che anche Facebook ha qualche responsabilità nel mondo delle informazioni. Ci sarebbe da capire se la struttura che ha suggerito in questa nota non sia un futuro strumento per la sua (plausibile) candidatura a presidente (meetup e Grillo degli inizi qualcuno ricorda?).
Ora il gioco è bello quando dura poco. Le notizie false, sia che si tratti di voci smaccatamente false oppure di native advertisement (che “SE” etichettate correttamente sono innocua pubblicità), getta nello scompiglio il mondo dell’informazione. La notizia più è gustosa più vende: sangue, tragedie, un po’ di sano scandalo, da che mondo è mondo, vende. Con le notizie false ci si campa: gli Usa entrarono in Guerra contro il Vietnam a causa di una notizia falsa, come spiegato dall’allora segretario di stato McNamara (l’attacco da parte di unità nord viet contro una nave americana, il Maddox).
Qualche decennio prima Edward Bernays (il padre della propaganda moderna e della pubblicità) suggerì ai dottori (che approvarono!) che due fette di bacon e uova strapazzate era la colazione salutare per l’americano medio. I media dell’epoca se la bevvero senza fiatare e i venditori di pancetta ringraziarono.
Non è cambiato nulla oggi, solo che i gruppi media han paura di perdere i loro guadagni.
A Facebook e Google, forse, può non importare molto a livello etico se i loro algoritmi veicolano notizie false prese da siti farlocchi. Ma se gli inserzionisti pubblicitari (che pagano bene) si trovano ad essere appiccicati su siti o zone dove si veicola informazione falsa, il mondo si ferma. Ecco quindi che la mano invisibile del mercato di Adam Smith interviene, delicata come sempre, e suggerisce ai grandi media di contenere un poco la fake news.
Le fake news hanno il brutto vizio di rimbalzare da una parte all’altra della rete. E se per sfortuna vengono inglobate in qualche gruppo di discussione, specie se politico, è come gettare miele alle api (gli utenti in questo caso). Un esempio in tal senso lo offre il gruppo di discussione dei 5 stelle: tra le “testate” che vengono usate per supportare argomenti di dibattito ve ne sono diverse che semplicemente non sono testate ma che fingono di esserlo (riecheggiando un nome più famoso). Dal classico “Coriere” (che ammette pubblicamente di essere un sito bufala) a siti più “sottili”.
Prendiamo questa notizia sulla signora Boldrini (in merito ad una sua affermazione sui vitalizi) linkata sul gruppo facebook Club Di Maio. Il sito che la pubblica non è una testata. E va bene passi. Più preoccupante è che la “fonte” che cita porti ad un altro sito (non un giornale o una fonte accreditata) ricca di pubblicità (click bait questo sconosciuto). Al netto della discussione su quanto questo sistema generi traffico (ergo soldi in pubblicità), mi domando quanto il lettore/elettore medio del gruppo si soffermi ad approfondire la veridicità della notizia o la condivida senza pensarci su troppo.
Esempi come questo, in versione Usa, hanno avuto un discreto successo anche durante le elezioni presidenziali, quando una serie di siti non fact cheked (in pratica senza nessun controllo della veridicità delle informazioni pubblicate) rigurgitavano in rete contenuti dall’alto valore di condivisibilità (ergo virali ergo pubblicità) ma di discutibile veridicità.
Alla fine si giungerà ad una situazione in cui i guardiani del mondo (Facebook, Google e soci) dovranno veramente scendere in piazza per mettere una pezza alla viralità delle notizie fuffa. Non per una supposta etica corporativa, ma perché i soldi contano, e chi paga la pubblicità non vuole trovarsi associato a idiozie (almeno non a idiozie troppo palesi). Questa è “evoluzione”? L’evoluzione inciampa? La scimmia nuda balla.