Nonostante i boss fossero in carcere, la cosca Giampà continuava a terrorizzare i commercianti di Lamezia Terme. L’unico esponente del clan che, pur essendo detenuto, non era “sepolto” al 41 bis, riusciva a impartire ordini alle “nuove leve”. Da qui il nome dell’operazione, coordinata dalla Dda di Catanzaro, che stamattina ha portato all’arresto di 12 soggetti accusati associazione a delinquere di stampo mafioso e di numerose estorsioni e intimidazioni ai danni di imprenditori ed esercizi commerciali di Lamezia.

Per chi non paga, i messaggi della ‘ndrangheta sono sempre gli stessi: bottiglie di benzina e ordigni esplosivi che le “nuove leve” della cosca Giampà utilizzavano per far capire chi comanda anche se i boss sono dietro le sbarre. “U Batteru”, “Daviduzzu”, “Saverio”, “u Buccacciello”, “Piripicchio”. A dispetto dei nomi che utilizzavano per comunicare tra loro, i discorsi intercettati dalla squadra mobile lasciavano intendere quanto le “nuove leve” fossero pericolose: “Se mi succede qualcosa e devo lasciare mia madre da sola a casa senza che ho fatto niente, poi gli ammazzo i figli… quando esco”. Per loro la parola d’ordine era “rinsaldare le fila” dopo le numerose retate.

La squadra mobile ha arrestato il boss Vincenzo Giampà, di 49 anni detto il “Camacio”, cognato del capo carismatico di un altro importante mammasantissima di Lamezia Terme, Francesco Giampà  alias “U’ Professuri”. Degli altri 11 arrestati, tranne Marco Francesco De Vito, tutti hanno un età compresa tra i 23 e i 32 anni. Su richiesta del procuratore Nicola Gratteri, dell’aggiunto Giovanni Bombardieri e del sostituto della Dda Elio Romano, sono finiti in carcere: Roberto Castaldo (27 anni), Gregorio Scalise (25), Giuseppe Paone (23), Pasquale Mercuri (28), Francesca Allegro (32), Francesco Morello (32), Danilo Cappello detto “Kirbi” (28). Arresti domiciliari, invece, per Andrea Mancuso (25) e Vincenzo Vigliaturo (26).

Sono loro quelli che il procuratore Gratteri, nel corso della conferenza stampa ha definito “l’ultima generazione che ha preso il posto dei soggetti detenuti al 41 bis e che, nel frattempo, sono diventati collaboratori di giustizia”. Una generazione “organizzata – sottolinea il magistrato – secondo il codice e le strutture tipiche della ‘ndrangheta”.

Ed è la violazione di queste regole, come la corretta gestione della “bacinella” (il fondo cassa della cosca), ad aver causato “le decine di omicidi degli ultimi anni”. Il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri ha ricordato come nel 2013 si incrinarono i rapporti tra il reggente Giuseppe Giampà, oggi pentito, e il boss Vincenzo Bonaddio.

Nelle dinamiche criminali di Lamezia, quindi, si ritagliò un posto di primo piano Domenico Giampà detto “Buccacciello” che nel 2016 saltò il fosso anche lui e ai magistrati spiegò come aveva riorganizzato la cosca. Fino ad allora era “Buccacciello” l’interlocutore “privilegiato” delle altre consorterie criminali calabresi, guidava le giovani leve e decideva le “nuove affiliazioni” dei Giampà che hanno piazzato un ordigno ad alto potenziale nei pressi del cancello d’ingresso della villa dell’imprenditore Vincenzo Perri “colpevole” di non aver restituito 100mila euro a un soggetto legato al clan.

Non solo imprenditori ma anche gli ambulanti della fiera di Sant’Antonio nel mirino degli aspiranti boss, che hanno piazzato una tanica di benzina pure davanti a una palestra in pieno centro.

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