Nel nuovo Testo unico sul pubblico impiego viene specificato che i dipendenti pubblici licenziati in modo illegittimo hanno diritto ad essere reintegrati nel posto di lavoro. La Cassazione si era espressa in maniera contraddittoria, lasciando margini di incertezza. L'indennità concessa dal giudice per il trattamento ingiusto non potrà superare le 24 mensilità di stipendio, come per i privati
Le modifiche all’articolo 18 introdotte con la legge Fornero e con il Jobs act non si applicano ai 3,4 milioni di dipendenti statali. Lo sancisce il nuovo Testo unico sul pubblico impiego, approvato in via preliminare giovedì dal consiglio dei ministri. In questo modo il governo Gentiloni mette per iscritto quello che il ministro Marianna Madia ha sempre sostenuto: i dipendenti pubblici licenziati in modo illegittimo hanno diritto ad essere reintegrati nel posto di lavoro e non devono accontentarsi di un risarcimento come quelli privati. Su un aspetto però la disciplina viene allineata a quella in vigore per tutto il resto dei dipendenti: l’indennità concessa dal giudice per il trattamento ingiusto non potrà superare le 24 mensilità di stipendio.
Questo intervento legislativo chiude la discussione, anche se la Cassazione sul tema si è espressa in maniera contraddittoria: nel novembre 2015 i giudici hanno sancito che lo Statuto dei lavoratori, così come riformato dalla Fornero, si applicava anche al pubblico impiego contrattualizzato, cioè ai dipendenti statali e locali esclusi professori, magistrati e militari. Poi, la scorsa estate, un’altra Sezione ha sentenziato al contrario che l’abolizione della tutela reale non riguardava gli statali.