Oggi incontro decisivo in Campidoglio tra Comune, costruttori e club. In contemporanea la manifestazione dei tifosi. Il presidente Pallotta minaccia di vendere la società, il Movimento 5 Stelle studia altri luoghi possibili dove costruire l'impianto, ma l'idea principale e di spostare il progetto di qualche centinaio di metri riducendo il cemento
Spostare l’impianto di “qualche centinaio di metri” e ridurre “sensibilmente” le cubature, ben oltre il 25% ipotizzato all’inizio. Altrimenti progetto da cestinare e iter da rifare. In una parola: addio stadio. La risposta? Attesa “al massimo entro lunedì”. Non solo. Se l’Avvocatura capitolina dovesse trovare “profili di illegittimità” nella delibera del 2014, il Campidoglio potrebbe decidere comunque di stralciarla e gettare via tutto. Sulla vicenda dello stadio di Tor di Valle, il Campidoglio ha deciso di mettere James Pallotta e l’As Roma con le spalle al muro, mentre nella giornata di ieri è partito il tam-tam fra i tifosi giallorossi, che oggi manifesteranno in piazza del Campidoglio. Nel frattempo, il M5S pensa a un “piano B”, con ben quattro aree alternative suggerite dall’associazione Italia Nostra. La principale, quella legata ai terreni di proprietà dell’Università di Tor Vergata, ha già subito il primo ‘niet’, gelando le velleità di Beppe Grillo e Virginia Raggi: i vertici del secondo ateneo romano, contattati da ilfattoquotidiano.it, hanno risposto che “il calcio adesso non ci interessa” e che al posto della grande incompiuta di Calatrava sorgerà “il giardino botanico più grande d’Europa”. Altro che i gol di Totti e Dzeko.
L’AUT-AUT DEL COMUNE
La posizione definitiva dell’amministrazione comunale, successiva al blitz romano di Beppe Grillo, non è ancora ufficiale. Ma quello che trapela da fonti vicine alla sindaca Raggi sembra proprio essere ciò che i vertici di Palazzo Senatorio porteranno questo pomeriggio all’incontro con il costruttore Luca Parnasi, numero uno della Eurnova Spa, e il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni. In sostanza, Raggi e gli avvocati capitolini chiederanno al proponente di spostare gli impianti sportivi (stadio compreso) in modo da salvaguardare la struttura dell’ex Ippodromo di Tor di Valle che potrebbe essere vincolata dal Mibact e di ridurre “sensibilmente” le cubature per la parte relativa al business park, dunque alle torri di Libeskind. Il problema è che nel progetto originario proprio quelle cubature dovevano giustificare la realizzazione di opere pubbliche come il potenziamento della Roma-Lido e il ponte sul Tevere, indispensabili per la fruizione del futuro stadio. L’arma in mano ai vertici capitolini è quella della “illegittimità” della delibera prodotta dalla Giunta guidata dall’ex sindaco Ignazio Marino; la carta della Roma, invece, è la minaccia di una richiesto di risarcimento monstre insostenibile per le flebili casse del Comune di Roma.
PRESSING DI TIFOSI E CONI
L’ipotesi rottura ovviamente non piace ai tifosi giallorossi, che al grido di #FamoStoStadio si stanno dando appuntamento, su Twitter, per stamattina in Campidoglio, mentre il presidente Pallotta ha già parlato di “catastrofe per il futuro dell’As Roma e del calcio italiano”, lasciando intendere che potrebbe anche decidere di mettere in vendita il club giallorosso. “Si può dire sì o no allo stadio. Dire facciamolo ma facciamolo da un’altra parte mi sembra poco serio”, è il giudizio del presidente Coni, Giovanni Malagò. “L’unica cosa che so è che se non si farà lo stadio sarà un disastro non solo per la Roma ma anche per il calcio italiano”, avverte il presidente della Uefa, Aleksander Ceferin, a margine dell’incontro con Carlo Tavecchio. Parole come “catastrofi” e “disastro” non piacciono però all’ex vicesindaco e assessore allo Sport, Daniele Frongia: “Lavoriamo proprio per evitarle”, ha dichiarato.
L’UNIVERSITA’ SI TIRA INDIETRO
Intanto, assecondando la frase di Beppe Grillo “facciamo lo stadio, ma facciamolo da un’altra parte”, il M5S si è già messo in moto per provare a suggerire una nuova area. Punto di partenza, la lista di quattro siti messi in campo da Italia Nostra. La più gettonata è quella di Tor Vergata, dove i terreni sono di completa proprietà dell’Ateneo. Con una dichiarazione a ilfattoquotodiano.it, però, arriva la prima doccia gelata per l’amministrazione pentastellata. “Il nostro impegno – ammette Antonella Canini, docente autorizzata a parlare a nome del rettore Giuseppe Novelli – è quello di utilizzare il patrimonio dell’università per la ricerca, l’innovazione e le finalità statutarie” e, soprattutto, la grande incompiuta di Roma, la piscina di Calatrava “è già destinata a diventare il più grande giardino botanico del mondo”. Dunque, niente spazio per il calcio. “In origine – spiega la delegata del rettore – ci furono delle ipotesi ma niente di veramente concreto. Noi stiamo già lavorando da 4 anni sul progetto di ‘città’ della conoscenza che, grazie a fondi privati e pubblici, riuscirà finalmente a riconvertire un’opera incompiuta sul nostro territorio, la Vela di Calatrava, con il contributo dello stesso architetto spagnolo, in una struttura che ospiterà aule, laboratori di ricerca e una grande serra stile ‘Garden Bay’ di Singapore”. Insomma, sì a turismo e botanica, ma niente sport e, soprattutto, niente calcio: “Siamo già rimasti scottati con i mondiali di nuoto del 2009. Se dovessero contattarci, declineremmo gentilmente l’invito”. Il “fermi tutti” giunto dal secondo ateneo cittadino, a questo punto spazza via anche la tesi di chi voleva un ritorno in gioco del gruppo Caltagirone, che proprio in quel quadrante vanterebbe importanti vincoli edilizi.
SPUNTA L’IPOTESI PIETRALATA
Sfumata Tor Vergata, qualora l’As Roma e il suo presidente James Pallotta accettassero davvero di ricominciare da capo l’iter, l’amministrazione capitolina dove dovrebbe andare a parare? Nel documento pubblicato da Italia Nostra, si propone la cosiddetta area “Sdo” di Pietralata, in zona nord-est della città. Parliamo di circa 120 ettari incastrati in uno storico quartiere popolare della Capitale, nemmeno troppo decentrato. Qui doveva sorgere una parte del Sistema Direzionale Orientale, mai realizzato nonostante le centinaia di milioni di euro stanziati. In particolare, in quest’area adiacente alla stazione Tiburtina e alla tangenziale, il Campidoglio a guida Gianni Alemanno aveva previsto un “contratto di valorizzazione urbana”, ovvero servizi come parchi attrezzati, scuole e la delocalizzazione dell’Università La Sapienza, per un progetto che complessivamente sfiorava 1 miliardo di euro. Nonostante i numerosi espropri, però, il contratto è rimasto inevaso e i soggetti interessati si sono via via ritirati. Oggi rimane l’area degradata, lasciata alla mercé di campi rom e discariche abusive, seppur ben servita dai mezzi pubblici (la stazione della Metro B Quintiliani è la meno frequentata di Roma). “Non è una cattiva idea – spiega Fabrizio Ghera, assessore ai Lavori Pubblici ai tempi di Alemanno e oggi capogruppo di Fratelli d’Italia – l’area è grande e ben collegata, non servono grandi opere trasportistiche se non un restyling alla linea B, si trova nel cuore della Roma popolare. Ci sarebbe anche spazio per il centro direzionale. Non so come la potrebbero prendere i privati che abbiamo espropriato, ai quali abbiamo detto che lì avremmo realizzato servizi pubblici”.
LE AREE PRIVATE
Le altre due aree proposte da Italia Nostra si trovano a sud-est e sono di proprietà privata. La prima è a Torre Spaccata adiacente a viale Palmiro Togliatti, tra la via Casilina e la via Tuscolana. “La destinazione di Piano Regolatore – si legge sul sito – è quella ad area edificabile e in particolare anche destinata ad ospitare il passaggio del prolungamento (penetrazione urbana) della diramazione autostradale Roma Sud, tra il Gra e Viale Palmiro Togliatti”, mentre la seconda è posizionata proprio dietro la stazione Anagnina della Metro A, la cui “destinazione è quella a servizi ed edificazione”. In realtà, come l’ex assessore capitolino Giovanni Caudo spiegava nei giorni scorsi in un’intervista a ilfattoquotidiano.it, “l’amministrazione non fa l’intermediario immobiliare, si rischia di andare in galera”, quindi il Campidoglio non può, per legge, proporre terreni di proprietà privata per questi scopi.