“L’articolo 1 della Costituzione, ‘L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro’, è il tratto identitario più bello della nostra comunità. Noi siamo questo, è il nostro simbolo, il nostro progetto per l’Italia”. Così Roberto Speranza ha presentato “Democratici e Progressisti“, il nuovo partito che nasce a sinistra del Pd dall’unione degli scissionisti legati a Speranza, Enrico Rossi e Pier Luigi Bersani con Arturo Scotto, Massimiliano Smeriglio e quanti hanno lasciato Sinistra Italiana. Alla presentazione a Roma è intervenuto anche il governatore della Toscana: “Noi siamo qui perché abbiamo un avversario, che è la destra e la deriva populista, e la battiamo solo costruendo una sinistra”. “Non si vince – ha aggiunto – qualificandosi né di destra né di sinistra, con politiche neo-reaganiane o con il moderatismo”
Ma anche nel giorno del lancio della nuova formazione, il nodo irrisolto è ancora il rapporto con il Partito democratico: “D’Alema ha aperto al dialogo se Orlando sarà segretario? Il Congresso dem è solo un gioco di figurine, non mi interessa”, ha tagliato corto lo stesso ex capogruppo dem alla Camera Speranza, ai microfono de ilfattoquotidiano.it. “Uscire dal Pd per riallearsi poi con il Pd? Dobbiamo discutere con tutti, Pd compreso. Ma quello non è più un partito di centrosinistra, è quello di Renzi. Ha cambiato la sua natura”, ha rivendicato invece Rossi.
“Non rinunciamo al progetto di una grande forza unitaria del centrosinistra e vogliamo essere da stimolo affinché il Partito democratico riprenda questo cammino arrestando la sua deriva neo-centrista“, si legge nel Manifesto del Movimento. Un processo costituente che non sia soffocato da “ambizioni leaderistiche” e da “pretese di arrogante autosufficienza”, afferma il Manifesto, con un chiaro riferimento a Matteo Renzi. Valori fondanti il “lavoro”, “l’uguaglianza” e il welfare: non a caso Speranza ha indicato nel Jobs Act, come anche nella Buona Scuola e nel referendum sulle trivelle, i passaggi che “hanno creato una rottura tremenda con il nostro popolo”. Un altro riferimento, questo alla sconfitta del 4 dicembre, definita nel Manifesto “una grande mobilitazione popolare“.