La furia anti casta ha tagliato il traguardo più vistoso dopo la recentissima decisione del CdA Rai di plafonare i compensi dei Carlo Conti, Vespa, Carlucci eccetera a € 240.000 (all’anno), come già stabilito, da una recentissima legge, per i compensi dei funzionari dell’azienda pubblica. Pessime, invero, le ragioni addotte sia da chi appoggia sia da chi osteggia il provvedimento. Il ceto politico lo ha votato compattamente, ma si sa che da quelle parti oggi prevalgono, anche per la spinta degli ultimi arrivati, gli opportunismi dell’aizza popolo.
Il CdA, di certo, ha deciso per la paura che a non essere pedissequo finirebbe nel mirino di solerti magistrati da video, con avvisi di garanzia garantiti, rischi di danno erariale, pubblico ludibrio e magari peggio. E non è certo rassicurante per la Rai l’avere al vertice un Consiglio reso coniglio dall’aria che tira, quando servirebbero, a partire dalla Rai, azzardi innovativi per una più forte industria audiovisiva, anche a garanzia della libertà contro l’incombere normalizzatore e tirannico del “populismo“. A opporsi sono ovviamente le star, Vespa uno per tutti, ma con la bizzarra tesi che sì, costano molto, ma molto più fanno incassare alla Rai grazie alla pubblicità rastrellata dai “loro” programmi. Ma così ragiona la ciliegina che standoci in cima si spaccia per la torta. Perché ogni conduttore, per quanto bravo, altro non è che la ciliegia poggiata su una torta composta di consuetudini (degli spettatori), di concatenazioni editoriali (palinsesti), di scelte strategiche (dello staff direttoriale), di capacità organizzative (tecnici e impiegati). Quindi la congruità del compenso della star (vedi i 600mila euro di Conti per Sanremo) può essere sì confrontata con i ricavi pubblicitari, ma al netto di quelli che sarebbero stati rastrellati anche senza la taumaturgica presenza.
Fra tante opposte e scarse ragioni, il Dg della Rai, su Repubblica di oggi, infila una osservazione sensata: e cioè che la rendita assicurata dai vecchi cavalli trattiene il pubblico e i ricavi, garantendo il respiro per far crescere i nuovi puledri. Quindi la conservazione, sia pure a caro prezzo, sarebbe funzionale alla innovazione. In effetti, per come la vediamo, giocare di tacco e punta fra conservazione e innovazione è l’unica cosa che davvero possa essere fatta. Ma si tratta di una manovra arditissima che richiede la messa in discussione strategica dell’intero sistema di rapporti con i fornitori (star e produttori) dei programmi. Strategia impossibile senza la progressiva riqualificazione degli skill dei funzionari interni, oggi più amministrativi che editoriali. Ma questa riqualificazione è a sua volta impraticabile finché i “politici”, pur di conquistarsi un like, abbaieranno contro la Rai e questa, non volendo o non potendo ignorarli, farà da vittima e sponda al gioco dei latrati.