Passaggi per privati e aziende, in autostrada e in città. Mini-car o berline, scooter o pulmini. Autisti in giacca e cravatta o in jeans e maglietta, itinerari prestabiliti o improvvisati. E un risparmio medio che le nuove start-up stimano in 1.300 euro l’anno. Roba da pensionare pure la vecchia (e costosa) utilitaria parcheggiata in garage, figuriamoci il costoso e vituperato taxi. E non c’è solo Uber in ballo, tutt’altro. La minaccia di estinzione delle auto bianche arriva da decine di altre applicazioni che attraverso il principio della share-economy mettono in collegamento gli utenti, contraendo i consumi e avvicinando le persone a colpi di click. Proprio come un enorme social network. Non un complotto contro il “tassinaro”, ma l’inizio del mutamento economico teorizzato da Jeremy Rifkin, risposta inevitabile alla crisi economica d’inizio secolo, che sta già rivoluzionando il trasporto pubblico, specie quello non di linea. Un settore in cui si stanno lanciando grandi multinazionali e giovani imprenditori, colossi pubblici e enti privati. Con risultati sempre crescenti. E se la giovane e “smart” Milano fa spesso da territorio sperimentale, il mercato più ghiotto è quello romano, con i suoi 2,8 milioni di abitanti, i suoi oltre 2 milioni di veicoli privati e un trasporto pubblico locale a dir poco disastrato: sfondare nella Capitale, per queste nuove aziende, vorrebbe dire vincere e, probabilmente, vivere di rendita per i prossimi 10-20 anni.

Uber, ma non solo: dal car-pooling alle applicazioni per smartphone, tutte le alternative al vecchio (e costoso) taxi

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