La scelta di Fabiano Antoniani è personale, non pregiudica l’esistenza a nessun altro e per questo diviene incommentabile. Ognuno dispone della propria vita e ne fa ciò che vuole. Ammesso che vita possa chiamarsi quella che Dj Fabo ha definito in un servizio de Le Iene “una prigionia“: “Provate a legarvi mani e gambe, mettete una benda sugli occhi e vivete così per una settimana – ha raccontato – Non resistereste un giorno. Io vivo al buio, immobile e senza parlare da 2 anni e 8 mesi”.
La condizione di Fabiano era così radicale da rendere ingiudicabile il desiderio di andarsene. Ingiudicabile perché una vita come la sua andrebbe vissuta sulla propria pelle per comprendere se e quanto vale la pena continuare. Non possiamo porre noi, con le nostre gambe dritte e gli occhi ancora capaci di scrutare il mondo, un confine tra giusto e sbagliato. E probabilmente anche nel provare quel modo di stare al mondo ognuno proverebbe sensazioni diverse e prenderebbe decisioni diametralmente opposte.
Mi sono chiesto molte volte cosa farei se dovessi trovarmi in una condizione simile. Restare attaccato a un respiratore, sperando un giorno che la scienza faccia un tale balzo in avanti da concedermi di tornare a vivere una vita dignitosa secondo i miei parametri? Decidere di chiuderla lì, evitandomi il lento scorrere dei giorni, tutti uguali, ed evitando, di conseguenza, un forte condizionamento della vita alle persone a me più care, costrette ad assistermi?
Sono sano e non riesco a dare una risposta. So solo una cosa: vorrei avere quella libertà che è stata negata a Fabiano. Vorrei poter scegliere. E se dovessi propendere per una scelta identica a quella di Fabiano, vorrei salutare tutti in Italia, a casa mia. Quanto tempo dovremo ancora aspettare per avere questo diritto?