I lavoratori dell’Ilva costretti alla cassa integrazione straordinaria fino alla vendita saranno 3.300 e non quasi cinquemila come chiesto dall’azienda. La riduzione è il frutto dell’accordo raggiunto al ministero dello Sviluppo economico tra la stessa azienda, in questo momento commissariata, e i sindacati metalmeccanici che a fine gennaio avevano contestato l’annuncio di Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba intravedendo nella richiesta un “assist ai futuri acquirenti”. Il tavolo, presieduto dal vice ministro Teresa Bellanova, ha abbattuto di circa un terzo la richiesta dell’Ilva, che il 31 gennaio aveva prospettato la necessità di 4.984 esuberi temporanei. Alla fine su circa 10mila dipendenti saranno coinvolti in 3.300, quasi tutti impiegati nello stabilimento di Taranto (3.240) e una piccola parte (60) nel deposito di Marghera. I numeri attorno ai quali è stato trovato l’accordo si riferiscono a un tetto massimo, mentre dal 5 marzo alla vendita dell’Ilva la media di lavoratori cassaintegrati sarà di 2.465 nell’acciaieria jonica e di 35 nella città alle porte di Venezia.
Buona parte di questi seguiranno una rotazione bisettimanale, mentre per circa 700 dipendenti la rotazione sarà più lenta (un giorno di lavoro ogni 6 settimane) ma non a zero ore, come trapelato in un primo momento. Durante i ‘fermi’ i lavoratori prenderanno parte a programmi di formazione e riqualificazione professionale per un totale di ore pari al 20 per cento di quelle lavorabili. Un monte orario che potrebbe essere corroborato dal piano della Regione Puglia, come anticipato dal governatore Michele Emiliano: “Siamo pronti a sostenere la formazione e riqualificazione dei dipendenti Ilva. A tal fine, a supporto dell’ammortizzatore sociale, la Regione istituirà un tavolo tecnico regionale con l’azienda e i sindacati per accertare la candidabilità dell’Ilva ai bandi già attivi in regione”. E se ciò non fosse possibile, il candidato alla segreteria del Pd annuncia che la Puglia è pronta “ad attivare un bando ad hoc costruendo insieme alle parti un percorso e rendendo così esigibile un pacchetto integrato a sostegno dei lavoratori”.
Il tutto con la premessa – già resa pubblica negli scorsi giorni – di un contributo economico della Regione “a disposizione degli operai dell’Ilva per le loro necessità”. Le iniziative messe in cantiere da Emiliano, che aveva parlato di “un’azienda che tende a scaricare su Regione e governo una situazione dovuta alla difficoltà di gestione”, vanno a rimpolpare il decreto per il Sud approvato in via definitiva dal Senato negli scorsi giorni. La legge destina all’Ilva un fondo del ministero del Lavoro pari a 24 milioni per mantenere lo stesso trattamento economico dei tremila contratti di solidarietà attivi nel 2016 e pari al 70 per cento della retribuzione. Fiom-Cgil e Usb avevano chiesto che la solidarietà venisse estesa anche all’anno in corso: la strada non è stata percorribile, ma l’accordo viene salutato con moderata soddisfazione visto il punto di partenza. Particolarmente significativa, secondo i sindacati, la verifica ogni due mesi del rispetto degli accordi in sede ministeriale alla presenza dei commissari, finora mai intervenuti al tavolo. Anche la Uilm Taranto giudica positivamente la chiusura della trattativa che “mette in sicurezza il salario e il posto di lavoro degli addetti Ilva” almeno fino alla cessione dell’azienda.
Il prossimo 3 marzo, due giorni prima dell’inizio della cassa integrazione straordinaria, scadrà il termine per la presenza delle offerte vincolanti. Sul tavolo del Mise arriveranno i programmi delle due cordata in gara: il binomio ArcelorMittal e gruppo Marcegaglia da un parte; Jindal con Cassa depositi e prestiti, la Delfin di Del Vecchio e Arvedi dall’altra. Per quanto trapelato finora, tra le incertezze dovute anche a difformità tra Aia e legge Ilva, la differenza più profonda tra le due offerte riguarderebbe le quantità di acciaio prodotto a Taranto e soprattutto le modalità con cui si giungerebbe al prodotto finito, visto che Jindal ha dichiarato che una parte del processo vedrebbe l’impiego del gas. E bisognerà comprendere se la quantità e la modalità di produzione avranno, nell’idea dei potenziali acquirenti, ripercussioni sui livelli occupazionali. “Quando verranno presentati i piani industriali delle due cordate, il vice ministro Bellanova si è riservata di convocare subito le organizzazioni sindacali per discuterne – spiega il segretario Fiom Rosario Rappa a ilfattoquotidiano.it – Fermo restando che, a nostro avviso, più in là servirà un accordo di programma tra Comune, Regione e governo su bonifiche e investimenti”.