Il 2 febbraio Italia e Libia hanno firmato un nuovo accordo, il quarto in meno di 10 anni dopo quelli sottoscritti da Berlusconi, Monti e Letta, in tema d’immigrazione.
L’accordo è stato firmato dal nostro primo ministro Paolo Gentiloni e da Fayez al Sarraj, presidente del “governo riconosciuto dalla comunità internazionale”: espressione che sottintende, come in effetti è, che in Libia di governo ve ne sia almeno un altro, ossia quello del generale Haftar, il cui parlamento di riferimento ha subito dichiarato “nullo” l’accordo (qui, alcuni commenti di esperti italiani).
L’obiettivo è il solito: affidare alla Libia, rafforzando le capacità di controllo della frontiera terrestre e marittima, il compito di impedire gli arrivi e le partenze di migranti e richiedenti asilo provenienti dai paesi dell’Africa sub-sahariana.
Le premesse su cui si fonda anche questo accordo sono sempre le stesse: il numero delle persone in fuga verso l’Europa non è gestibile, la chiusura delle frontiere danneggerà gli interessi dei trafficanti di esseri umani, lo stato libico è in grado di attrezzare un sistema di accoglienza rispettoso dei diritti umani e sull’altra sponda del Mediterraneo esiste un’autorità in grado di eseguire il compito affidatole.
In realtà, a non essere gestibile, è l’atteggiamento irresponsabile dell’Unione europea, quello per cui 180.000 persone arrivate via mare in Italia in un anno non possono essere assorbite attraverso la ricollocazione negli altri stati membri. Il piano presentato dalla Commissione europea nel marzo 2015 non è stato altro che un inganno nei confronti di Italia e Grecia.
Per togliere dalle mani della criminalità organizzata il redditizio traffico di esseri umani, occorrerebbe invertire quel rapporto per cui oggi il 90 per cento dei transiti e delle partenze dei migranti e dei richiedenti asilo produce reddito per le reti criminali. E che chiudere la frontiera libica sia la soluzione è una pia illusione: ogni volta che si è chiuso un percorso, se n’è aperto un altro. Sempre più pericoloso per chi lo intraprende: l’anno scorso nel Mediterraneo sono annegate oltre 5000 persone, e solo nei naufragi di cui siamo venuti a conoscenza.
E, a meno di non costruire un muro in mezzo al Mediterraneo e pattugliarlo militarmente, si troverà sempre un’autorità locale, se non un addirittura un governo, che troverà conveniente dal punto di vista economico o come arma di ricatto politico chiudere gli occhi. Coi soldi dell’accordo, nella migliore delle ipotesi si costruiranno nuovi centri di detenzione; nella peggiore, che è anche quella più realistica, si arricchiranno ulteriormente le milizie, vere detentrici del potere in Libia e responsabili di numerosi sequestri di persona.
A questo proposito, ricordiamo che tra pochi giorni sarà trascorso un anno dall’omicidio di Salvo Failla e Fausto Piano, rapiti insieme ad altri due colleghi nell’estate 2015 a Sabrata.
Per tornare all’accordo ipotizziamo pure, per assurdo, che la Libia abbia un governo in grado di controllare tutta la frontiera e che, grazie all’addestramento italiano, la guardia costiera libica non sia più incline alla corruzione e sia in grado, per numero di unità operative ed efficienza della loro azione, di intercettare tutte le imbarcazioni e riportare in terraferma il loro carico umano.
Siamo disposti a tollerare che, per bloccare le partenze, i migranti e i richiedenti asilo siano trattenuti in un paese che non riconosce il concetto giuridico di “rifugiato”, che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra, in cui il razzismo verso gli africani è diffuso e in cui i “transitanti” vengono chiusi in centri di detenzione gestiti dalle varie milizie o bande locali e sottoposti a orribili torture?
Se la vostra risposta è sì, allora l’accordo Gentiloni-Serraj ha la vostra benedizione. Impedirà, come si dice, che “tutta l’Africa si riversi in Italia”. Che è uno slogan irrealistico ma, purtroppo, efficace.