In queste settimane il Nucleo tecnico di politica economica di Palazzo Chigi sta mettendo a punto i decreti necessari per far partire l’Anticipo pensionistico (Ape) e la Rendita integrativa anticipata (Rita), gli strumenti previsti dall’ultima legge di Bilancio per consentire a chi ha almeno 63 anni di lasciare il lavoro e ricevere l’assegno previdenziale prima di averne i requisiti. In attesa dei provvedimenti attuativi, che devono essere varati entro l’1 marzo, c’è già la certezza che per beneficiarne bisognerà essere disposti nel primo caso a contrarre un costoso prestito bancario (saranno infatti gli istituti a finanziare l’Ape trattenendo in cambio una rata che potrà arrivare al 20% della pensione netta), nel secondo a usare in un colpo solo tutto il capitale accumulato nel proprio fondo pensione, rinunciando così di fatto all’integrazione dei futuri assegni. Ma l’Ape e la Rita sono solo l’ultimo tassello di un progetto pluriennale di integrazione tra il sofferente sistema pensionistico pubblico gestito dall’Inps, il cosiddetto “primo pilastro”, e quello privato.
Una sinergia di cui è dimostrazione plastica Mefop, società “per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione” che vede il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan socio dei fondi privati gestiti da banche, assicurazioni o sindacati. Nello specifico il Tesoro ha la maggioranza (58,21%), mentre il resto del capitale è in mano a 34 fondi negoziali (quelli riservati ai lavoratori di uno specifico settore, come Cometa per i metalmeccanici, Fonchim per i chimici e Fondoposte per i postali), 19 fondi aperti (gestiti da una compagnia di assicurazione o una banca, vedi Allianz Previdenza, Fideuram Vita, Intesa Sanpaolo Vita e Unicredit previdenza), 41 “fondi preesistenti” (nati prima della riforma della previdenza complementare del 1993, dalla cassa di previdenza aziendale Mps al fondo integrativo dei dirigenti Fiat) e il piano individuale pensionistico Cattolica Previdenza, ognuno in media con una quota dello 0,45%.
Obiettivo statutario della spa nata nel 1999 è “favorire lo sviluppo dei fondi pensionistici e delle altre forme di previdenza”. Sviluppo che certo non langue: nonostante le casse private non siano immuni da squilibri, il secondo pilastro registra un progressivo aumento delle adesioni. Stando all’ultimo rapporto dell’authority di vigilanza sul settore (Covip), a settembre 2016 contavano 7,6 milioni di iscritti, in crescita del 5,3% su dicembre 2015. La partecipata di via XX Settembre ha fatto la sua parte attraverso “attività di formazione, studio, assistenza e promozione“.
“Il nostro Stato sociale è stato oggetto di riforme penalizzanti”, ricorda il sito lanciato dal Mefop. “E’ molto meno generoso che in passato”
L’esempio più recente? Il 26 ottobre Mefop ha presentato www.sonoprevidente.it, “portale del welfare privato interamente dedicato ai cittadini” per informarli “in materia di previdenza e assistenza sanitaria pubblica e privata”. Durante l’ultima riunione dei fondi soci, che si è tenuta il 31 gennaio, sono stati presentati i primi risultati: gli accessi complessivi sono stati 26.096 e la sezione più visitata risulta essere quella dedicata a “i benefici del welfare privato”. “In Italia esiste un sistema di welfare privato – costruito principalmente sui Fondi Pensione e sui Fondi Sanitari – che lo Stato nel tempo ha fortemente incentivato e sostenuto“, si legge nella presentazione, “e che può efficacemente assicurare ai cittadini l’integrazione necessaria a vivere un presente sereno e, soprattutto, un futuro più sicuro e solido“. “A partire dagli anni ’90 il nostro Stato sociale è stato assoggettato ad una serie di riforme penalizzanti“, ricorda un’altra sezione. “Il welfare pubblico (il sistema delle pensioni, della sanità, del sostegno del reddito) è oggi molto meno generoso che in passato. (…) Questa riduzione delle tutele pubbliche si è accompagnata tuttavia all’introduzione di vere e proprie politiche di sostegno a favore di forme private di welfare”. In particolare, appunto, fondi pensione e fondi sanitari, che “vengono promossi, tutelati e sostenuti dallo Stato attraverso una disciplina di favore e di sostegno fiscale che dovrebbe spingere tutti i lavoratori a optare per l’adesione (spesso volontaria) e la partecipazione a queste iniziative”.
I servizi offerti dal Mefop ai fondi soci comprendono poi anche master e corsi per “esperti del settore”, consulenza legale e fiscale, raccolta e pubblicazione di dati statistici. Attività che, “qualora la società svolga la propria attività in favore dei fondi pensione azionisti”, vengono svolte “a condizioni economiche più favorevoli rispetto a quelle normalmente praticate”. Per fare tutto questo l’azienda si avvale di 15 dipendenti, che nel 2015 sono costati 1,3 milioni di euro (in aumento rispetto agli 1,2 del 2014). Il presidente Mauro Marè, docente di Economia dei tributi all’università della Tuscia, ha un compenso di 27.750 euro l’anno, mentre i sei consiglieri si fermano a 4.500 euro l’uno come i membri del collegio sindacale. La parte del leone va ad impiegati e quadri: in base all’ultima relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria della società, depositata a novembre 2015 e relativa agli esercizi 2013 e 2014, il costo medio sostenuto da Mefop per ognuno di loro è salito dai 76mila euro del 2012 agli 81mila del 2013 agli oltre 86mila del 2014. Tanto che i magistrati contabili sottolineano “la necessità che le politiche relative alla remunerazione del personale aderiscano maggiormente al generale orientamento restrittivo manifestato nel settore pubblico”.