Raffaella Paita “sapeva delle carenze dell’apparato amministrativo più volte prospettate dalla dirigente Gabriella Minervini“. E dunque avrebbe dovuto diramare l’allerta nei giorni dell’alluvione di Genova. Almeno secondo la procura del capoluogo ligure, che per questo motivo ha impugnato la sentenza di assoluzione nei confronti dell’ex assessore regionale alla Protezione civile e capogruppo regionale del Pd. Nell’ottobre scorso, infatti, Paita era stata prosciolta dall’accusa di omicidio colposo e disastro colposo proprio per la mancata diramazione dell’allerta nelle ore precedenti al 9 ottobre 2014, quando il Bisagno esondò uccidendo l’ex infermiere Antonio Campanella. Per l’esponente del Pd i pm avevano chiesto una condanna a due anni e otto mesi.
Secondo il procuratore capo Francesco Cozzi, però, a fronte “della consapevolezza delle carenze dell’apparato amministrativo” e “del quadro meteo allarmante già dal giorno precedente, l’ex assessore avrebbe dovuto prendere in mano le redini” e “intervenire perché rientra tra gli obblighi del ruolo di garanzia del politico”. Per la procura, se si fossero attivati tutti gli organismi e organi previsti dalla legge “ci sarebbe stato un allertamento della popolazione che avrebbe potuto attutire i danni”.
Assolvendo Paita nel processo celebrato con il rito abbreviato li gup Ferdinando Baldini aveva anche rinviato a giudizio l’ex dirigente della protezione civile, Minervini, assistita dall’avvocato Silvia Morini. Secondo il gup, quindi, il compito di diramare l’allerta era della dirigente e non dell’esponente politico. Per l’accusa, invece, Minervini avrebbe dovuto diramare l’allerta, ma la Paita, anche se la dirigente non lo aveva fatto, avrebbe dovuto ordinarle di attivarsi.