“Era nota come la moschea della gente di Isis“: così un amministratore locale di Berlino descrive l’associazione-moschea di Moabit, “Fussilet 33“. L’attentatore Anis Amri la frequentava abitualmente e vi si era recato anche poche ore dopo aver commesso la strage del 19 dicembre scorso, che aveva causato la morte di 12 persone. Oggi è stata chiusa nel corso di un raid antiterrorismo ad opera della polizia tedesca.

L’operazione della polizia, iniziata all’alba, ha coinvolto 450 agenti a Berlino, Brandeburgo e Amburgo, e ha portato alla perquisizione di 24 obiettivi tra cui anche appartamenti, due piccole imprese e sei celle. Sono stati sequestrati computer, documenti, e sono stati ispezionati dei conti bancari che hanno rivelato interessanti movimenti finanziari.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, la moschea era un luogo in cui “si raccoglievano soldi per appoggiare la jihad e si reclutavano combattenti disposti ad andare in Siria e in Iraq”. Le lezioni di dottrina islamica della Fussilet 33 erano spesso fonte d’ispirazione per la “radicalizzazione dei fedeli”.

Un ex imam di questa moschea era già stato arrestato nel 2015, quando ci fu un primo sgombero dei locali. Tuttavia la decisione finale dell’amministrazione è arrivata soltanto adesso, e decisivo è stato il caso del tunisino responsabile dell’attentato del 19 dicembre, con un camion lanciato tra la folla, nei pressi della chiesa della Memoria. È da allora che l’opzione di proibire il luogo di culto e la relativa associazione è divenuta concreta.

“Non si voleva punire l’intero gruppo per gli eccessi di singoli”, ha spiegato oggi il ministro dell’Interno del Land di Berlino Andrea Geisel, rispondendo a una domanda sui lunghi tempi della decisione. Inoltre, il giurista cui era affidato il caso è stato a lungo malato nel 2015, e la pratica della moschea di Moabit fu trascurata anche per questo. Del resto la stessa pericolosità di Amri era stata sottovalutata: “La valutazione fu sbagliata”, ha ammesso Geisel, “e in futuro i criteri andranno rivisti”.

“Con il veto a Fussilet 33 abbiamo dato un segnale chiaro: non c’è posto a Berlino per chi predica l’odio, per chi recluta combattenti e raccoglie fondi per Isis. Anche se questa città è colorata, aperta, pronta ad accogliere chi viene perseguitato e chi scappa dalla guerra, e così deve restare”.

Altri estremisti sono sotto controllo, e ad altre associazioni religiose potrebbe accadere quello che è accaduto a Fussilet. Certo nulla fa pensare che la rete della moschea proibita non si raccoglierà in privato. Alcuni già contestano che così sarà più difficile controllarla.

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