“A quel pm gli sparo quattro colpi in faccia”. Così il 34enne Nicola Russo, uomo del clan dei Casalesi arrestato oggi dalla Squadra Mobile di Caserta, parlava nel 2015 in una conversazione, carpita da un’intercettazione ambientale, a proposito dell’allora sostituto procuratore della Dda di Napoli Cesare Sirignano, oggi in forza alla Direzione nazionale antimafia.
La circostanza è emersa nell’ambito dell’indagine – coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – che ha portato all’arresto di Russo e di altre otto persone con l’accusa di far parte di un gruppo legato alla famiglia Bidognetti; famiglia nel cui interesse Russo avrebbe gestito tra agosto e novembre 2015 gli affari illeciti nel comune di Castel Volturno.
L’esplicita intenzione di uccidere Sirignano, hanno accertato gli inquirenti, non si è tramutata in alcun progetto o atto concreto, ma era legata all’attività dell’allora sostituto antimafia che indagava proprio sugli affari del clan nei comuni del litorale casertano di Castel Volturno e Mondragone. Così come non prese concretezza quello di un attentato al procuratore capo di Napoli Giovanni Colangelo, in pensione da pochi giorni: oggi il gup del Tribunale di Bari Annachiara Mastrorilli ha condannato quattro persone, fra le quali il noto trafficante di armi Amilcare Monti Condesnitt, a pene comprese fra i 5 anni e 4 mesi e i 4 anni e 8 mesi di reclusione perché accusati di detenere mezzo chilo di tritolo che – secondo la Dda – sarebbe stato destinato alla camorra campana proprio per eliminare Colangelo.
Sirignano era già stato minacciato in passato dal capo dell’ala stragista dei Casalesi Giuseppe Setola, che per anni ha controllato per conto del boss Francesco Bidognetti proprio la zona di Castel Volturno. La minaccia fu lanciata il 19 marzo 2014 nel corso di un processo a Napoli in cui Setola era imputato: “Oggi è la festa del papà: auguri dottore Sirignano” disse il killer. In un’altra circostanza il pm, mentre stava andando con l’auto blindata verso Roma, fu inseguito in autostrada per parecchi chilometri da un’altra vettura.
Nell’indagine che ha portato all’arresto di Russo, arrestato a Gaeta dove stava scontando i domiciliari, sono finite in carcere su ordine del Gip del Tribunale di Napoli altre quattro persone, tra cui sua moglie Leonide Luise, l’altro presunto esponente del clan Achille Pagliuca, che ha trascorso parte della sua latitanza in un rifugio messo a disposizione da Russo; altri quattro indagati sono stati invece posti ai domiciliari. Contestati i reati di estorsione, detenzione e porto illegale di armi comuni da sparo, rapina aggravata, ricettazione, tutti con l’aggravante mafiosa.