Esattamente tre anni fa il governo approvava la legge che manda in soffitta il finanziamento pubblico ai partiti. Dopo 1157 giorni si scopre che tre decreti attuativi non hanno mai visto la luce e sono scaduti. Così i partiti potranno farsi foraggiare dai privati senza limiti e controlli. Sono scaduti anche metà dei provvedimenti firmati da Monti e Letta. La spending review in alto mare, Destinazione Italia mai arrivato in porto dopo mille giorni. Ecco i dati, sorprendenti, del dossier Openpolis
Il 27 febbraio 2014 l’Italia diceva addio al finanziamento pubblico ai partiti. A tre anni esatti dall’entrata in vigore della legge si scopre però che tre decreti attuativi degli otto previsti non hanno mai visto la luce: 1157 giorni non sono bastati per emanare le disposizioni che limitavano il contributo dei privati oltre il tetto dei 100mila euro, così come quelle sui controlli dei mezzi di pagamento diversi dal contante. La Presidenza del Consiglio aveva 60 giorni di tempo per emanarle, ma ancora oggi nessuno le ha viste. Risultato: buona parte di quella “riforma epocale” rischia di rimanere lettera morta, a beneficio dei partiti che potranno abbondantemente rifarsi del finanziamento pubblico abolito con quello privato. E senza troppa cura della trasparenza.
E’ uno dei dati sorprendenti del nuovo dossier di Openpolis (scarica) sulla legislazione di secondo livello dal 2011 in poi, quando la palla passa dai governi e dai parlamenti agli uffici ministeriali competenti che devono normare gli aspetti pratici, burocratici e tecnici necessari ad applicare le disposizioni di legge. Un’attività che procede con grandissimo ritardo da sempre, non sempre imputabile al ceto politico se non nel disinteresse che manifesta sull’effettiva attuazione dei provvedimenti e sul rischio che decadano per inerzia. E sono tanti: dei 154 provvedimenti ancora in sospeso dei governi Monti e Letta, il 48,05% ha termini scaduti. Spesso si tratta di provvedimenti essenziali per la vita del Paese, per i conti dello Stato, per le tasse dei cittadini. Non di rado sono tra i più strombazzati. Come il Destinazione Italia, approvato a febbraio del 2014, che dopo 1099 giorni non è arrivato a destinazione perché mancano 7 decreti attuativi dei 28 previsti (il 25%).
E la mitica spending review di Monti? Mentre ci si arrovella su dove andare a pescare le risorse per la manovra correttiva chiesta dalla Ue si scopre che è ancora in alto mare: ad oggi è stata attuata solo per il 42%, e dei sette decreti attuativi che mancano all’appello uno solo è ancora nei termini, tre sono scaduti e tre restano senza termine e quindi potranno trovare attuazione in un domani imprecisato. Tutti fardelli che passano di governo in governo e spesso si perdono andando a scadere e lasciando incomplete le leggi.
Un po’ di numeri: dei 227 provvedimenti che hanno richiesto decreti attuativi dei governi Monti, Letta e Renzi, 149 sono ancora da completare (il 65,64%). Essendo il più recente, il governo Renzi ha la percentuale più alta di leggi ancora incomplete: l’80%. Il governo Monti è invece quello con la percentuale più alta di leggi implementate, il 58,46%, un risultato raggiunto anche grazie al lavoro di attuazione realizzato dai governi Letta e Renzi. Solo nella corrente legislatura sono 282 le leggi approvate, tra ordinarie e conversioni di decreti legge, e 74 hanno richiesto ulteriore lavoro, per un totale di 1.051 provvedimenti attuativi necessari. A questi numeri bisogna aggiungere i 105 decreti legislativi, che hanno generato 377 decreti attuativi. In totale le leggi prodotte dai governi Letta e Renzi hanno rinviato a 1.428 provvedimenti attuativi. Una mole di atti che una volta fuori dal parlamento è ricaduta sui diversi ministeri competenti.
Renzi aveva promesso di mettere fine al cronico ritardo con due novità che promettevano davvero una svolta. La prima agiva sulla stessa scrittura delle leggi, puntando maggiormente su quelle autopplicative che non richiedevano ulteriori provvedimenti. E a onor del vero lo sforzo si ritrova nei numeri: se il 34,17% delle leggi firmate da Monti richiedeva ulteriori decreti per essere applicate e con Letta addirittura il 63%, con l’ex premier si è arrivati a un più fisiologico 20,73%. L’altra leva era in sede di Consiglio dei Ministri, con la Boschi che pungolava i colleghi su quanti decreti attuativi erano stati emanati per smaltire una gigantesca montagna di arretrati e scongiurare la decadenza per sopraggiunti termini. Va però detto che se con Monti e Letta circa il 70% dei provvedimenti attuativi nasceva da conversioni di decreti legge e questa percentuale crolla con Renzi (26,52%), è altrettanto vero che Renzi si è rifatto con i decreti legislativi, che dal 14% di Monti e il 6 di Letta schizzano al 33,1% con il governo dell’ex segretario Pd. Insomma, molti numeri. Ma nulla è cambiato.