Per la gestione di ogni voucher lavoro da 10 euro l’Inps trattiene 50 centesimi “per il servizio”. “Un aggio del 5% che potrebbe essere quasi paragonato a quello applicato da Equitalia e tanto giustamente contestato per la riscossione dei tributi evasi”, attacca l’Inca, il patronato della Cgil, nel dossier “Voucher: ‘buoni’ per oscurare lavoro e tutele“, che ricorda come nel 2016 siano stati venduti 133,8 milioni di voucher con un incremento del 23,9% rispetto al 2015. I buoni lavoro, ormai noti come “nuova frontiera del precariato“, rappresentano dunque secondo il patronato del sindacato che ha promosso il referendum per la loro abolizione anche “una occasione ghiotta per Inps e Inail di incamerare somme di denaro, sotto forma di contributi obbligatori previdenziali, assicurativi contro gli infortuni e di gestione del servizio, che il lavoratore dovrà pagare, senza ricevere in cambio alcuna prestazione“.
Va ricordato infatti che il valore nominale di ciascun voucher è una cifra lorda: “Per ogni buono il lavoratore percepisce al netto degli oneri 7,5 euro e lascia a Inps e a Inail 2,5 euro, di cui 50 centesimi, appunto, per il ‘servizio’ reso dall’istituto previdenziale. Considerando il numero complessivo delle vendite del 2016 (133,8 milioni), “l’Inps solo per la gestione del servizio ha incamerato quasi 67 milioni di euro in un anno”, sottolinea ancora l’Inca, aggiungendo che “cosa effettivamente paghi il percettore di voucher non è dato sapere, visto che la cosiddetta quota di servizio non è prevista, almeno al momento, per nessun’altra prestazione previdenziale. Forse la stampa del buono lavoro?”.
La replica Inps: “Il 5% vale solo per i voucher telematici” – L’Inps replica spiegando che “in realtà, per effetto delle convenzioni stipulate con i subconcessionari che si occupano unitamente a Inps della vendita e della riscossione dei voucher (Poste, tabaccai, Intesa Sanpaolo e ICBPI), tale quota viene corrisposta da Inps a questi ultimi. Sempre per effetto delle convenzioni, sui soli voucher venduti da tabaccai, Intesa Sanpaolo e dalle banche convenzionate con l’ICBPI, all’Inps spettano 20 centesimi per ogni transazione d’acquisto. All’Inps, pertanto, rimane il 5% solo per i voucher di propria emissione, quelli telematici, oltre ai 20 centesimi su ogni transazione d’acquisto di voucher effettuata presso i tabaccai, Intesa Sanpaolo e Banche del circuito ICBPI, indipendentemente dal numero di voucher acquistati con la singola transazione d’acquisto”.
Mercoledì in commissione Lavoro alla Camera il ddl di riforma – Il rapporto arrivata in una settimana importante, perché i senatori di Sinistra italiana hanno annunciato che da da ora in poi al termine di ogni seduta del Senato chiederanno che venga fissata la data dei referendum e mercoledì 1 marzo arriverà in commissione Lavoro alla Camera il testo base della proposta di legge che dovrebbe riformare lo strumento. Sarà il risultato dell’unificazione di otto proposte presentate da diverse forze politiche. Con molta probabilità verrà ripreso in larga parte il testo a prima firma Cesare Damiano (Pd), con alcune modifiche come un richiamo più marcato sui vincoli per la pubblica amministrazione rispetto all’utilizzo dei buoni lavoro.
“Pensione media di 208,35 euro al mese” – Il dossier analizza nel dettaglio il presente e il futuro dei lavoratori a voucher. Il quadro non è ottimistico: “Al voucherista è preclusa ogni strada per arrivare a maturare almeno un assegno dignitoso“, si legge. L’Area previdenza dell’Inca ha supportato questa tesi con alcune proiezioni, basate sull’attuale normativa, da cui emerge la “grave povertà di tutele” previdenziali per i percettori di voucher. Il trattamento dei voucheristi è stato confrontato con quello di altre quattro tipologie di lavoratori: agricoli stagionali, dipendenti part-time, con contratto di collaborazione e a partita Iva. Tipologie scelte “non perché siano da considerare più fortunati o per stilare una graduatoria dei meno tutelati, ma perché ben rappresentano la frammentarietà e la diffusa precarietà del mercato del lavoro, per le quali la povertà dei diritti resta, pur con tutte le differenze, un comune denominatore”.
Per quanto riguarda il diritto alla pensione di vecchiaia, il dossier sottolinea che il percettore di voucher, il titolare di partita Iva, il collaboratore e il dipendente part time non riescono a perfezionare il diritto prima dei 70 anni di età, a causa del mancato raggiungimento dell’importo minimo previsto. Ma il voucherista (il cui imponibile contributivo lordo annuo è pari a 9.333 euro) è “ancora più ‘sfortunato tra gli sfortunati’: per lui l’assegno, sempre secondo le simulazioni sviluppate, risulterebbe pari “a 208,35 euro al mese“. Senza considerare che la pensione di reversibilità diventa una “chimera”, insieme alle prestazioni di invalidità. Se poi il lavoratore “volesse per assurdo rispettare le regole pensionistiche previste per la generalità degli altri lavoratori”, per “raggiungere il requisito contributivo per la pensione anticipata (41 anni e 10 mesi, per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini nel 2017) dovrebbe lavorare oltre 73 anni, se donna o 74, se uomo”.
“Spesso lavorano più ore rispetto a quanto percepito” – Fino a quando sono in età da lavoro, inoltre, sono ovviamente “esposti alla cosiddetta occasionalità di lavoro che si traduce, nell’attualità dei fatti, nella totale discrezionalità dell’azienda di utilizzarli in qualsiasi momento e senza alcun vincolo contrattuale, neppure di durata”. Anche il decreto sulla cosiddetta tracciabilità “non cambia il profilo precario di questi lavoratori che molto spesso lavorano più ore rispetto a quanto percepito (in termini di numero di voucher). Perciò, il presunto valore nominale orario di ciascun buono viene completamente oscurato. I numerosi casi denunciati dalla Cgil fanno emergere, infatti, come la retribuzione di una intera giornata di lavoro non è corrispondente al numero dei voucher effettivamente riscossi da ciascun lavoratore occasionale”.
La tutela contro gli infortuni? “Solo formale” – Quanto alla tutela contro gli infortuni, “formalmente il lavoratore pagato con voucher è coperto. Perciò, ad ogni evento scatta l’assicurazione Inail che gli garantisce 32,38 euro dal 4° al 90° giorno di assenza dal lavoro e di 40,48 euro, dal 91° giorno fino alla guarigione. Importi che vengono calcolati sulla base di minimali retributivi convenzionali”. Su questo fronte “il voucherista può dirsi quasi ‘fortunato’, perché quando si fa male a causa del lavoro, paradossalmente, riceverebbe più di quanto guadagna in un anno, considerando che il reddito pro capite medio è di circa 450 euro netti (60 voucher), pari a 50 euro mensili e a 2,27 euro al giorno”. “Ma così non è di fatto – secondo l’Inca – in quanto le imprese non denunciano gli infortuni e corrono ai ripari solo quando l’incidente è grave e, dunque, non camuffabile con una semplice malattia (per la quale non c’è tutela alcuna). Una cattiva pratica, già ampiamente sedimentata tra molte aziende, che però nella specificità dei percettori di voucher è una regola generale, in mancanza di qualsiasi vincolo contrattuale”.
“L’azienda tira fuori dal cassetto il ticket nel giorno in cui denuncia l’incidente” – “Sul piano dei dati statistici, nonostante la scarsa incidenza del fenomeno degli infortuni sul lavoro che investe i percettori di voucher, va segnalato comunque che solo un anno fa, nell’aprile 2016, l’Inail ha lanciato un allarme sottolineando come quasi sempre il pagamento del voucher coincida, con il giorno della denuncia di infortunio da parte dell’impresa e non è preceduto da alcun tipo di rapporto di lavoro. Il meccanismo è semplice: il lavoratore in nero si fa male gravemente. L’azienda è costretta a tirare fuori dal cassetto il ticket di 10 euro per la copertura assicurativa, precedentemente acquistato e non utilizzato, e dimostra, in questo modo, di essere in regola con la legge”, “potendo in questo modo continuare all’infinito a utilizzare manodopera in nero, senza rischi. E se arriva qualche visita indesiderata di ispettori o carabinieri, ripete la stessa sceneggiata. A tal proposito, si consideri anche che nell’attività ispettiva dell’Istituto svolta nel 2016 su 20.876 aziende, sono stati ‘scovati’ 5.007 lavoratori totalmente in nero, per lo più nei settori terziario (3.151) e nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (1.220), dove, non a caso, si concentra il maggior utilizzo dei voucher e dove è stato rilevato oltre l’80% delle denunce di infortunio”.