Diritti

Aborto, donna si rivolge a 23 ospedali per potere interrompere la gravidanza

E' la storia di una 40enne di Padova, già madre di due figli. A raccontarla è Il Gazzettino. "Mi negavano la disponibilità nei modi più disparati: non ce la facciamo, siamo già al limite, non riusciamo a stare nei tempi, ci sono le vacanze, sono tutti obiettori"

Una donna padovana ha dovuto rivolgersi a buona parte degli ospedali del Veneto – per la precisione 23 – prima di trovare la struttura che praticasse l’interruzione della gravidanza entro i 90 giorni previsti dalla legge 194. Una situazione paradossale in una realtà sanitaria come quella veneta che è ai vertici delle classifiche nazionali, ma su cui evidentemente pesa il numero dei medici obiettori che raggiunge percentuali altissime. La storia della signora quarantenne, che ha già due figli, vive in centro storico a Padova e fa la libera professionista, è stata raccontata da Il Gazzettino, che ne ha coperto l’identità.

La cronistoria è precisa, lucida. La scoperta della gravidanza risale a metà dicembre e non era prevista. “Uso la spirale e mai mi sarei aspettata di restare incinta”. E’ già al secondo mese e il tempo stringe, visto che l’interruzione deve essere attuata entro i tre mesi di legge. Si rivolge alla struttura ospedaliera di Padova. E qui arriva il primo diniego. Non c’era posto, perché l’incidenza degli obiettori raggiunge il 90 per cento. “La mia è stata una scelta compiuta a malincuore – ha confessato la signora – ma per attuarla ho dovuto contattare altri 22 ospedali, e alla fine di questo girovagare sono tornata al punto di partenza”. Si è rivolta a Camposampiero, ma qui l’hanno dirottata su Cittadella, dove operano due medici non-obiettori. Ma da Cittadella è arrivato un altro rifiuto. “Mi hanno detto che per competenza loro non potevano”. Allora ha chiesto agli ospedali di Piove di Sacco e di Este. “Ormai eravamo a ridosso delle festività di Natale e la cosa non aiutava”. Anche in queste realtà (dove operano due non-obiettori) non le è stato garantito l’intervento.

“Ho passato a tappeto il Vicentino e il Veneziano, comprese Chioggia e Portogruaro, quindi Rovigo, Verona. Ho tentato anche a Trieste e Bolzano” ha spiegato a Il Gazzettino. Cosa le rispondevano? “Nei modi più disparati: non ce la facciamo, siamo già al limite, non riusciamo a stare nei tempi, ci sono le vacanze, sono tutti obiettori, c’è un solo medico che viene ogni tanto e siamo pieni, doveva muoversi prima, deve risolvere la questione con la sua Ulss di competenza”. Per praticare un aborto non è sufficiente un medico, serve anche un anestesista e l’équipe sanitaria”. Come è stata trattata? “Da qualcuno ho ricevuto risposte cortesi, ma ho trovato anche chi mi ha dato giudizi non richiesti su un’esperienza che non conosce”.

L’àncora di salvezza è stata la Cgil padovana a cui si è rivolta. “So che hanno sempre fatto una battaglia per l’applicazione di un diritto. Mi hanno aiutato a sbloccare la situazione, proprio a Padova dove mi avevano detto che non c’era posto”. L’interruzione della gravidanza è poi avvenuta nei termini di legge. Ma il commento della donna è severo: “Non dimenticherò mai la mancanza di professionalità e di umanità che ho vissuto sulla mia pelle. Anche chi si è prodigato per me, ha allargato le braccia confessando di non sapere da che parte girarsi”. E ancora: “Mi domando che senso abbia promuovere una legge per dare diritto di scelta e poi non si mette nessuno nelle condizioni di farlo. Lo trovo offensivo, inutilmente doloroso. Io il colloquio con lo psicologo l’avevo già fatto, avevo chiarito le mie motivazioni, i conti con me stessa li avevo già chiusi, la struttura pubblica doveva garantire l’applicazione della normativa”.

A dare un aiuto alla donna è stata Paola Fungenzi della Cgil padovana, che va al di là del singolo caso, allargando l’orizzonte sull’applicabilità della 194. “È da un anno che chiediamo all’Azienda ospedaliera e all’Ulss di Padova i dati delle obiezioni di coscienza, ma senza esito. Ripetute segnalazioni ci dimostrano l’esistenza di situazioni critiche”. Il dito non viene puntato solo sulla struttura ospedaliera, che pure deve garantire il diritto all’obiezione di coscienza da parte dei medici contrari all’aborto. “Non solo i ginecologi non garantiscono le interruzioni volontarie di gravidanza, ma si è indebolita negli anni, per mancanza di personale, anche la funzione dei consultori familiari. Le strutture pubbliche hanno l’obbligo di rendere esecutiva la 194, che è una legge dello Stato. Nel Veneto la percentuale degli obiettori sfiora il 77 per cento, lo dice il rapporto 2016 del ministero della Salute”.

Secondo quella relazione, nel 2014 le interruzioni di gravidanza in Italia sono state 96.578, furono 233 mila nel 1983, 132 mila nel 2001, 111 mila nel 2011. I ginecologi non obiettori sono stati 1.408 nel 2014, erano 1607 nel 1983, 1903 nel 2001, 1507 nel 2011. Il numero di interruzioni di gravidanza nell’arco di un anno è stato di 68,6 aborti per medico, in media 1,6 aborti per ogni settimana di lavoro. “Nel 2014 si conferma la tendenza alla stabilizzazione delle quote di obiettori e non obiettori, dopo un notevole aumento negli anni: a livello nazionale. Si è passati dal 58.7% di obiettori del 2005, al 69.2% del 2006, al 70.5% del 2007, al 71.5% del 2008, al 70.7% nel 2009, al 69.3% nel 2010 e 2011, al 69.6% nel 2012, al 70.0% nel 2013 e al 70.7% nel 2014”.

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