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Brasile, la diga devasta il Rio Doce. Un progetto tenta di ridare acqua ai Krenak

La meravigliosa ragazza della foto rischia l’estinzione. E con lei tutta la sua tribù. Si tratta del popolo dei Krenak. Vivono, o per meglio dire in questo momento, sopravvivono, lungo il Rio Doce, devastato dal crollo della diga di Mariana quasi un anno e mezzo fa. Forse qualcuno si ricorda dell’evento, sicuramente pochi, visto che fu clamorosamente insabbiato dalla stampa di tutto il mondo. Uno degli eventi più devastanti, forse il terzo per dimensioni, della storia dell’ecologia planetaria.

Il Rio Doce, un tempo paradiso ecologico, con una spada di Damocle da decenni sulla testa venne totalmente distrutto dal crollo (annunciato) della diga che rilasciò i detriti e gli scarti tossici e radioattivi delle miniera soprastante. Una ecatombe di pesci, animali, uomini e territorio. Oggi una lunga linea rossa tossica che scorre da mariana fino all’Atlantico.

I Krenak sono tra le persone che hanno maggiormente sofferto per questo disastro. Sono disperati. Sebbene molti di loro inseriti nel contesto sociale occidentale, hanno saputo mantenere vive tradizioni antichissime sul piano culturale e spirituale. Arte, artigianato, musica, danza, rituali, conoscenze erboristiche. Con il fiume distrutto e totalmente inquinato non possono più bere, pescare, fare il bagno, insegnare ai piccoli a nuotare, fare i rituali tradizionali, spostarsi. Una tragedia. Tragedia che coinvolge anche altri popoli, oltre all’intero Brasile, non solo in ragione di diritti umani violati e in termini di territorio distrutto, ma anche perché si tratta di un’ennesima ferita inferta al sistema mondo/umanità che, ancora una volta, si trova a fare i conti con un problema profondo di rispetto per se stesso e di perdita di punti di riferimento millenari, come l’acqua, i fiumi, la spiritualità della Madre Terra.

Ma esistono anche gravi problemi pratici. Non c’è acqua per bere, cucinare, lavarsi. Il governo del Minas Gerais si è lasciato truffare per un milione di reali, buttati via con un’impresa che ha costruito un solo pozzo artesiano che, oltretutto, non sta funzionando. Il peggio viene evitato grazie all’esercito che tutti i giorni fa la spola con camion cisterna.

La cosa paradossale e vergognosa è che i Krenak hanno accesso vietato a un monte con sette caverne che essi considerano sacre e che contengono sorgenti d’acqua. Il territorio apparterrebbe ai Krenak, ma lo Stato del Minas Gerais l’ha dato in concessione a un’azienda alimentare che fa soldi con acqua in bottiglia venduta come “Agua Krenak”, utilizzando il nome della tribù. Oltre al danno, la beffa.

Come già accaduto altre volte in Brasile devono muoversi i privati cittadini. Quello che sta accadendo con i Krenak si va a inserire nel vasto movimento di riavvicinamento di diverse fasce di popolazione urbana agli indigeni. Ne ho già accennato e ne parlerò ancora. Molti studenti, intellettuali, gente comune, proveniente anche da fuori del paese, mostrano grande interesse per la cultura e la spiritualità degli indios.

Uno di questi, Ian Lazoski, un ragazzo brasiliano di 29 anni che lavora nel settore informatico, ma da anni opera con tribù indigene, ha fondato l’Istituto Welight (di cui è presidente – www.instituto.welight.co e www.welight.co), letteralmente, “Noi illuminiamo”. Vice presidente Pedro Paulo Lins. Sono riusciti ad avviare una partnership ­­­con la Osklen, azienda di moda che ha a sua volta aperto l’Istituto-E, impegnato nella ricerca per lo sviluppo sostenibile. Altre partnership sono con Circo Voador (importante centro culturale di Rio), PayPal e aziende, tra le quali la Casa Editrice Dantes. Diamo sostegno logistico anche noi con la nostra ong Para Ti.

Il progetto ha coinvolto ingegneri civili, forestali e ambientali, geologi, ecologisti, giornalisti e testimonial. Il budget è di 433.000 reali, meno della metà del costo del pozzo che non funziona. L’idea è quello di raccoglierli con un crowdfunding, vendendo a 180 reali l’una magliette di design in cotone ecologico prodotte da Osklen.

Il progetto è modulare, per poter essere iniziato e realizzato almeno in parte anche senza raggiungere il budget totale, e prevede lo scavo di pozzi e la costruzione di rete di distribuzione idrica. In seguito bonifica del fiume e riforestazione, creazione di un bacino lacustre e di agroforesta, ovvero territorio riforestato, ma utilizzabile per piantagioni e allevamento di animali nel sottobosco. Ufficio stampa, aziende partner, testimonial hanno lavorato sodo per la diffusione dell’iniziativa, presentata in febbraio al Parque Laje di Rio.

Uatu Ererré, nell’idioma dei Krenak, equivale a dire Viva il Grande Fiume o Viva il Grande Padre. Un aspetto che lascia indifferenti molti materialisti occidentali è la violazione di territori che per gli indigeni sono sacri. I fiumi non sono solo pertinenza dei popoli indigeni, ma patrimonio dell’umanità. Stati come il Brasile e gli Usa li utilizzano per la produzione di energia con dighe e passaggio di oleodotti, con conseguenze ecologiche devastanti, ma non solo.

Questa iniziativa si va a inserire in un ampio movimento ecologico, spirituale e culturale che in Brasile chiamano “Virada Sustentavel”, il Cambiamento Sostenibile. Diversi santuari ecologici sono seriamente a rischio e, sacri o meno, la loro scomparsa causerà gravi ripercussioni sui delicati equilibri planetari già ampiamente compromessi.

Foto dei Krenak di Mauro Villone, immagini della diga di Lapresse