“Senza volare nella fantascienza ed immaginare chissà quali scenari, questo studio - dichiara a caldo a IlFattoquotidiano.it - Carlo Alberto Redi, accademico dei Lincei e docente di biologia dello sviluppo presso l’Università di Pavia -. realizza una delle promesse della biologia delle cellule staminali embrionali: portare in provetta la malattia e studiarne l’evolversi sin dalle primissime fasi dello sviluppo”
Un nuovo successo per la ricerca sulle staminali. Un team di studiosi britannici dell’Università di Cambridge ha annunciato di avere realizzato in laboratorio il primo embrione artificiale. Si tratta di un embrione di topo, formato a partire da cellule staminali che si sono assemblate dando origine a una struttura tridimensionale in tutto e per tutto simile a un embrione naturale. Il risultato è illustrato su Science. Secondo gli autori, l’embrione aiuterà a comprendere meglio l’origine di molte malattie legate alle fasi iniziali dello sviluppo, e a ridurre i test condotti sugli animali.
Il risultato è stato raggiunto grazie all’utilizzo sia di cellule staminali embrionali che danno origine agli organi, sia di quelle che formano le strutture esterne all’embrione, come la placenta. “Entrambe cominciano a parlare le une con le altre fino a organizzarsi in una struttura che si comporta come un embrione – spiega Magdalena Zernicka-Goetz, del dipartimento di fisiologia, sviluppo e neuroscienze di Cambridge, autrice della ricerca -. L’embrione ha regioni anatomicamente corrette, che si sviluppano al posto giusto nel momento giusto”. Confrontato con un embrione normale, quello artificiale ha, infatti, mostrato di seguire lo stesso andamento nello sviluppo, e di essere completo sotto ogni punto di vista. Compresa la formazione delle cellule germinali destinate a diventare ovuli e spermatozoi, e quella della cavità amniotica nella quale l’embrione si sviluppa. Secondo gli autori, questo embrione artificiale permetterebbe, in linea di principio, lo sviluppo di un individuo fuori dall’utero. Anche se, come precisano gli stessi studiosi, questa è solo una possibilità teorica e applicabile soltanto in alcuni settori, come la zootecnia.
“Si tratta di un lavoro ben fatto di un gruppo di ricerca serio – dichiara a caldo a IlFattoquotidiano.it – Carlo Alberto Redi, accademico dei Lincei e docente di biologia dello sviluppo presso l’Università di Pavia -. Senza volare nella fantascienza ed immaginare chissà quali scenari, questo studio realizza una delle promesse della biologia delle cellule staminali embrionali: portare in provetta la malattia e studiarne l’evolversi sin dalle primissime fasi dello sviluppo”.
Le staminali sono considerate delle cellule jolly in biologia. La loro versatilità ed enorme plasticità rappresenta una delle rivoluzioni della ricerca biomedica. Apre, infatti, la porta alla possibilità di far crescere cellule in laboratorio, in grado di trasformarsi in tessuti differenti, che possono poi essere utilizzati nella cosiddetta medicina rigenerativa. Ma scatena anche numerose paure di manipolazione della vita, soprattutto quando si parla di staminali embrionali. “Questa ricerca – aggiunge Redi – consente di analizzare finemente, a livello molecolare, le primissime fasi dello sviluppo embrionale dei mammiferi, e di capire quale sia la gerarchia dei fattori di crescita chiamati in causa durante le fasi pre-impianto. È un solido avanzamento del sapere embriologico – sottolinea lo studioso di Pavia -. Il risultato di oggi ci aiuterà a capire meglio come accade che in natura la stragrande maggioranza degli eventi di fecondazione, più del 50%, non giunga all’impianto dell’embrione. Direi che può bastare – conclude Redi -, per chiedere alla comunità tutta di discutere di queste premesse”.