Senza chiarimenti sui tesseramenti, Andrea Orlando è pronto a rinunciare a presentare le liste nelle zone “grigie”. “Non voglio voti che non so da dove vengono” dice il ministro della Giustizia, candidato alla segreteria del Pd, intervistato a Omnibus su La7. “Voglio pensare che siano casi isolati – aggiunge – Non ho nulla per dire il contrario, ma questo è il segno del malessere di un partito”. Per affrontare la questione Orlando chiederà “che la commissione per il congresso si riunisca e dia una valutazione completa dell’andamento del tesseramento nel paese”. A Napoli il partito ha inviato Emanuele Fiano, mentre sono in corso le verifiche e le certificazioni sui tesseramenti appena chiusi. Secondo i dati forniti da Lorenzo Guerini, vicesegretario e presidente della commissione congressuale, nel 2016 gli iscritti sono stati oltre 405mila con un lieve aumento rispetto all’anno precedente. Guerini ha anche assicurato “massimo rigore su verifiche”.
Mentre Romano Prodi dice che non sa ancora se voterà alle primarie (e chi), Orlando intanto oggi ottiene il sostegno del sindaco di Bologna Virginio Merola e del deputato Andrea De Maria, parlamentare bolognese che dirige la Scuola di formazione politica del Partito democratico. Il ministro ribadisce la linea che terrà durante il congresso per evitare che diventi “una lotta nel fango”. “Non voglio fare la campagna sulle vicende giudiziarie o sul profilo disciplinare di Emiliano ma sui progetti per questo paese” risponde a chi gli chiede se Emiliano dovrebbe lasciare la magistratura, come aveva ribadito ieri il presidente e reggente del partito Matteo Orfini. Ancora meno voglia ha Orlando di parlare della vicenda Consip, visto che è ministro della Giustizia. “E’ presto anche per formulare un giudizio di tipo politico” secondo il guardasigilli. La situazione è ancora tale da vedere che “ci sono giudizi di persone contro altre persone. Al momento il chiarimento compete ai protagonisti della vicenda e ci sono strumenti per chiarire senza implicazioni di carattere istituzionale”. “E’ mio dovere – conclude sempre parlando a Omnibus – non prestarmi a nessun tipo di strumentalizzazione: qui non c’entra niente il congresso del Pd ma i compiti affidati al Guardasigilli”.
La situazione di scontro frontale all’interno del partito era prevedibile, secondo Orlando: “Ho proposto una conferenza programmatica per rispondere alle domande arrivate con il referendum” ma “mi è stato detto di no. Ora i fatti mi stanno dando ragione: c’è stata la scissione, Emiliano chiama elettori di altri partiti per votare contro Renzi, l’ex premier va in California come se non avesse governato in questi anni, si è aperta la pagina prevedibilissima delle tessere…”. Davanti a questa situazione, ha quindi aggiunto, “serve una candidatura che tenga insieme il Pd”, precisando che “io non mi candido contro Renzi ma per affermare un’altra piattaforma politica”. “Io – ha aggiunto successivamente – Non ho votato Renzi e non sono diventato renziano in questi anni, ho sempre cercato di affermare il mio punto di vista”.
Il ministro nega che sia “in missione per qualcuno”. “Sono il candidato di quelli preoccupati che il Pd salti – dice – Ho un rapporto antico con Giorgio Napolitano, immagino sia contento della mia candidatura ma non è stato lui a dirmi di candidarmi” così come “non è stato D’Alema o Renzi. Mi sono convinto a candidarmi definitivamente all’assemblea del partito”. Orlando ha poi voluto precisare nuovamente che non intende “rifare la sinistra del Pd. Voglio rifare il Pd, che ha bisogno di tutte le culture politiche, affrontando i grandi problemi del presente”.