Esiste un altro foglietto ricomposto dagli investigatori che dimostra l'interesse dell'imprenditore Alfredo Romeo - arrestato ieri per corruzione - verso l'Unità. Un interesse già raccontato dal Fatto Quotidiano. Secondo gli inquirenti quelle sigle si riferiscono a Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, al costruttore Massimo Pessina
Esiste un altro pizzino agli atti dell’inchiesta Consip che dimostra l’interesse dell’imprenditore Alfredo Romeo – arrestato ieri per corruzione – verso l’Unità. Un interesse già raccontato dal Fatto Quotidiano a febbraio (leggi l’articolo di Marco Lillo), probabilmente per “per compiacere i rappresentanti della cosa pubblica” come ipotizzano gli inquirenti. In questo foglietto (pubblicato da La Verità), che come altri era stato distrutto ed era finito in discarica per poi essere ricomposto dagli investigatori, cui compaiono, oltre all’indicazione di cifre e incontri – in tutto e per tutto simili al primo pizzino pubblicato ieri dal Fatto – anche le parole “contanti”, “Bonifaz”, “Pess”. Che, secondo gli inquirenti potrebbero essere Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, e il costruttore Massimo Pessina.
Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci oggi è dell’Unità Srl, la cui maggioranza (80 per cento) è stata rilevata nel 2015 dalla Piesse Srl a sua volta controllata dall’amministratore Guido Stefanelli e da Pessina con rispettivamente il 60 e 40 per cento. Il Partito democratico invece controlla poco meno del 20 per cento tramite la Eyu srl. Bonifazi è nel cda e il 14 settembre 2016 sono stati nominati come presidente e condirettore rispettivamente Chicco Testa e il deputato del Pd Andrea Romano. Entrambi a titolo gratuito. Il 17 febbraio però è stato raggiunto un accordo che prevede che sarà Piesse ad occuparsi della ricapitalizzazione, che la vedrà salire dall’80 al 90% mentre la partecipazione della fondazione creata dal Pd scenderà dal 20 al 10%. Per rimpinguare le casse della società, che ha chiuso l’ultimo bilancio con un passivo di circa 4 milioni di euro, verranno messi sul piatto 1,5 milioni.
“Oggi alcuni organi d’informazione fanno riferimento a un ipotetico interesse da parte di alcuni soggetti coinvolti nell’indagine Consip ad incontrare i vertici de l’Unità per un possibile acquisto della testata. Precisiamo – si legge in una nota – che non c’è stato alcun tipo di incontro, né è pervenuta alcuna manifestazione d’interesse in tal senso, da parte dei soggetti coinvolti nell’indagine nei confronti dei rappresentanti della società che edita il giornale”.
L’inchiesta Consip è stata svelata dal Fatto Quotidiano il 22 dicembre dell’anno scorso. Nel mirino dei pm c’è l’appalto più grande d’Europa: Fm4, cioé facility management, la gara indetta nel 2014 da Consip per l’affidamento dei servizi gestionali degli uffici, delle università e dei centri di ricerca della Pubblica amministrazione. La convenzione vale 2 miliardi e 700 milioni di euro per una durata complessiva di 36 mesi e corrisponde all’11,5 per cento della spesa annua della Pubblica amministrazione. L’appalto è diviso in lotti e Alfredo Romeo era in pole per un bando da quasi 700 milioni di euro. Nell’ambito dell’inchiesta, il ministro Lotti è indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Il fascicolo contenente le ipotesi di reato sulle fughe di notizie è stato stralciato dal filone principale sulla corruzione ed è finito a Roma per competenza territoriale. Il braccio destro di Renzi, già sottosegretario alla Presidenza del consiglio, è stato iscritto nel registro degli indagati a seguito delle dichiarazioni del suo amico Luigi Marroni, che nel suo interrogatorio come persona informata dei fatti ha tirato in ballo anche il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana, indagato per le stesse ipotesi di reato. Nella fattispecie, Marroni ha detto di avere saputo dell’indagine e della presenza di microspie negli uffici Consip dal presidente di Consip Luigi Ferrara, che a sua volta era stato informato dal comandante Tullio Del Sette. Poi ha aggiunto altri nomi. I più importanti sono quelli di Lotti e del generale Emanuele Saltalamacchia, suoi amici. Entrambi lo avrebbero messo in guardia dall’indagine. Dopo la soffiata Marroni fece eseguire la bonifica. Che effettivamente andò a segno.