Come dissacrare la dipendenza materialistica degli oggetti, le infatuazioni dettate dalla malinconia e il richiamo alla memoria storica e personale. Di questo scrive, con il solito irresistibile humor finnico, Arto Paasilinna nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia (in Finlandia il libro è uscito nel 1994), La prima moglie e altre cianfrusaglie (Iperborea, traduzione di Francesco Felici).
Volomari Volotinen, assicuratore per diletto e collezionista scatenato di assurde antichità (trappole per volpi degli anni Dieci del Novecento, la dentiera dell’eroe nazionale finlandese Carl Gustaf Emil Mannerheim, lo scheletro autentico di un ufficiale dell’Armata Rossa, la madre di tutte le ghigliottine, la clavicola di Cristo…), è un infaticabile viaggiatore, mai sazio di tornare a casa con assurdità di ogni periodo storico.
Dalla Finlandia del periodo bellico, passando per uno sciopero dei dipendenti dei bar, con conseguenze catastrofiche sugli strati sociali alcolici, al rivoluzionario 1968, anno di manifestazioni, lotte e di costruzioni idriche (il canale di Saimaa stava per essere terminato in quel periodo), dagli infuocati e terzomondisti anni Settanta, alla toccata e fuga nella penisola araba dei nazionalismi e della crisi petrolifera, per approdare nel circolo polare artico a cibarsi di foca fredda in salsa al rosmarino, l’eroe letterario di Paasilinna percorre epoche e luoghi trasformando tutto e tutti in una caotica e esilarante visione alcolica, in una felice sbronza da vodka con qualche goccia di acido lisergico. Come per i passati lavori dell’autore finlandese anche ne La prima moglie e altre cianfrusaglie emerge la notevole capacità di ridere di ogni situazione, anche di quelle più disperate, dando forza vitale alle parole e innalzando la gioia di vivere più in alto di qualsiasi tragedia.
Filip David è considerato uno dei più importanti scrittori serbi e dell’area della ex Jugoslavia, tradotto in più di dieci lingue, autore di sceneggiature televisive e cinematografiche, romanzi e racconti, e proprio un romanzo, La casa della memoria e dell’oblio (vincitore del Premio Nin, pubblicato in Italia da Bordeaux Edizioni, tradotto da Manuela Orazi e Dunja Badnjević, postfazione di Božidar Stanišić) è incentrato sul tema della memoria dimenticata: quella dell’Olocausto della comunità ebraica di Serbia.
Attraverso le vicissitudini del protagonista, Albert Weiss, da Belgrado, passando per Aushwitz, fino a New York, il testo può essere letto come il tentativo di rispondere al grande quesito di che cosa sia il male e quali le sue origini. Mischiando le tesi di Hanna Arendt, le atrocità della Seconda guerra mondiale e del seguente periodo storico, e la Cabala, David sembra suggerire che per superare il concetto di male con i paradossi, le cadute morali e la decadenza culturale che esso genera, c’è una un’unica soluzione: la ricerca della propria identità, personale e collettiva, e della riaffermazione della propria memoria.