Di Flaminio de Castelmur per SpazioEconomia

Internet, la tv digitale, le radio Dab (Digital Audio Broadcasting) e tutti i new media che con la rivoluzione elettronica degli ultimi anni si sono occupati di informazione, hanno portato possibilità di conoscenza, lavoro per nuove professionalità e formati innovativi di comunicazione. Oggi, con un semplice smartphone si possono creare programmi innovativi, a costi ridottissimi e con bacini di utenza da migliaia di contatti istantanei o in differita.

Attualmente, questa grande varietà di prodotti ha fatto sì che i mezzi si possano rivolgere a un target preciso, circoscritto a territori (tv e radio private) o argomenti delimitati. La crisi economica, di converso, ha ridotto le disponibilità per marketing e campagne pubblicitarie che fino alla metà dello scorso decennio alimentavano le strutture comunicative.

Tralasciando l’analisi delle testate nazionali, quali sono le condizioni di diffusione e sopravvivenza dei vari media locali o minori, che mettono a rischio, solo per le emittenti locali, un comparto che conta tra i 4.500 e i 5000 lavoratori in un settore che vale 20 mila posti di lavoro a livello nazionale se comprendiamo anche le grandi emittenti?

Da quando la televisione italiana è entrata nell’era digitale, fra il 2008 e il 2012, le stazioni locali sono alle prese con un’odissea via etere che ha messo in ginocchio il comparto. Dopo aver sostenuto importanti investimenti per la digitalizzazione del segnale, il Fondo per il Pluralismo dell’Informazione, attualmente dotato di circa 50 milioni di fondi (i contributi statali alle Tv erano pari a 161,8 milioni nel 2008), non basta.  La crisi economica ha quasi azzerato il mercato pubblicitario delle emittenti locali e sono pochi i segnali di ripresa. Quali potranno sopravvivere a questi anni di selezione feroce?

Probabilmente le Emittenti che hanno saputo comprimere i costi, razionalizzare le spese e produrre trasmissioni innovative, ben orientate e realizzate, pur nella scarsità dei mezzi. Parlando delle emittenti radiofoniche, la radio italiana si sta convertendo al digitale. È la nuova rivoluzione via etere dopo l’addio alla tv analogica. Per adesso siamo alla fase delle sperimentazioni però, negli ultimi mesi l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha impresso un’accelerazione alla svolta.

E’ importante comunque che le radio locali, le quali muovono un terzo degli introiti pubblicitari nazionali, investano nella nuova tecnologia e non restino ai margini, a tutto vantaggio di quelle nazionali. Rispetto a quello televisivo, il comparto radiofonico gode per ora di minori costi produttivi, anche se la penuria di risorse pubblicitarie continua a falcidiare il numero di Emittenti locali. Una carta vincente è stata negli ultimi anni, l’estensione del territorio coperto dal segnale con lo streaming in internet. Con pochissimi investimenti si sono potuti portare programmi e conduttori in territori che, per vincoli legali o di potenze installate, non si sarebbero mai potuti coprire.

Soffermiamoci ora sui media online, i quali stanno conquistando il mercato dell’informazione: nel 2016 i canali mediatici offerti dalla rete hanno assorbito il 24% dell’informazione e nel 2017, stando alle proiezioni, questo trend continuerà a crescere. Immobili ormai i “cartacei” che sembrano non avere alcuna chance di contrastare quest’autentica rivoluzione digitale nel mondo dell’editoria.

Il fenomeno è collegato all’ascesa sempre più influente delle innovazioni di settore, legate soprattutto al mondo degli smartphone e dei social network, dei quali sempre più persone sono diventate totalmente addicted. Sempre più editori non hanno quindi la benché minima esitazione su dove investire per la creazione di un nuovo prodotto: nascono blog e magazine online tutti i mesi mentre spariscono piano piano i quotidiani e le riviste di settore.

L’elemento chiave di tutta l’informazione, come sopra descritta e quella più innovativa via web, è la pubblicità, con la gran parte dei budget prima riservati ai canali “tradizionali” su quotidiani e tv locali, infatti, viene oggi investita per sviluppare strategie di digital marketing. Almeno il 40% delle imprese locali, infatti, conterebbe per il 2017 di investire di più nella propria strategia digitale. A fare le spese di questo passaggio al digitale sembrerebbero essere, dunque, anche nel caso della pubblicità locale, soprattutto quotidiani e periodici con buone speranze di tv e radio che da sempre resistono meglio all’erosione della spesa in attività pubblicitarie. Oltre ai new media del web.

I motivi che spingerebbero le attività locali e i piccoli investitori a preferire il digitale hanno a che fare con la grande disponibilità di dati e insight sui propri clienti, la facilità di investimento e la possibilità di tracciare (ed eventualmente riformulare) ogni fase della campagna. Senza contare che la pubblicità online è quella in grado di garantire oggi il miglior rapporto qualità/prezzo, se ben gestita ovviamente.

Che ruolo possono ancora riservarsi, allora, in una simile cornice i media locali più tradizionali? Se impareranno a definire il proprio ruolo nell’ottica di servizio alle esigenze del mercato troveranno di certo nuove vie di sopravvivenza.

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