Niente gare, tanti fondi pubblici e grande business all’ombra dello Stato. Per sette anni il Ministero dell’Istruzione ha deliberatamente ignorato un problema chiamato Cineca. Ora però i nodi vengono al pettine, con conseguenze imprevedibili sui servizi informatici in uso alla maggior parte delle amministrazioni italiane. Il mega consorzio partecipato dal Miur e da 90 atenei che opera in un regime di monopolio di fatto d’ora in poi dovrà fare i conti col mercato e camminare sulle proprie gambe. Iniziando col restituire la bellezza di 18,7 milioni di euro erogati nel 2015 dal Miur tramite il Fondo di finanziamento ordinario: quel contributo pubblico annuale, infatti, si configura come un aiuto di Stato, in contrasto con i trattati europei. Lo ha stabilito una sentenza del Tar del Lazio (scarica) che accoglie il ricorso di una piccola azienda di Roma. Presso la stessa sezione ne pende già un’altro sui fondi del 2016, stavolta per 25,5 milioni di euro. Insomma, non sono bruscolini.
La sentenza, emessa l’11 febbraio, va al cuore della questione sollevata più volte dal fattoquotidiano.it: l’illegittimità della natura giuridica promiscua del consorzio che permette a Cineca di operare come soggetto pubblico quando si tratta di ricevere erogazioni statali tramite affidamenti diretti, dunque senza fare le gare, e di diritto privato quando vende servizi di mercato ad aziende pubbliche e private come l’Eni o la Fiat, Tetra Pack o Unipol. Perfino all’estero, con società controllate che operano in Turchia, Albania e Romania. Insomma, altro che società pubblica: è business. E come tale non può giovarsi di contributi statali a fondo perduto e affidamenti diretti che consentano a Cineca di mantenere ulteriormente la sua posizione dominante a danno delle concorrenza e dello sviluppo di un mercato nazionale dei servizi per l’informatica effettivamente libero.
Di fatto decade il presupposto stesso su cui Cineca ha costruito negli anni la sua posizione di monopolista dei servizi di calcolo scientifico e industriale e di quelli telematici a supporto del sistema accademico e di ricerca nazionale che controlla con una quota pari all’80%. Una tegola pesante per la società pubblica nata a Bologna a cavallo degli anni Settanta e diventata nel giro di un quarto di secolo un gigante da 700 dipendenti. Ma anche un motivo di grande imbarazzo per il Ministero che ha sempre eluso la questione. Lo dimostra il silenzio del Capo Dipartimento per la formazione superiore e la ricerca, Marco Mancini, cui è stato chiesto conto della sentenza e della poca cautela del Miur. Senza per altro ottenere risposta.
Perché il Ministero sa da almeno sette anni che il gigante ha piedi d’argilla. Dal 2010 a oggi è stato un fiorire di segnalazioni, sentenze e pronunce delle autorità di vigilanza e giurisdizionali sull’illegittimità degli affidamenti e delle sovvenzioni pubbliche. La prima volta è stata l’Antitrust, nel 2010, a segnalare al Miur che lo statuto del consorzio a natura mista può “produrre significativi effetti anticoncorrenziali”, tali da “attribuire alla menzionata società ingiustificati vantaggi competivi” (pp.137-140). Ma nulla succede e nel 2013 sempre l’Antitrust segnala nuovamente al Miur (pp.7-10).
Nel 2014 per due volte il TAR della Calabria sentenzia che Cineca non è organismo in-house nei confronti dell’Università della Calabria, annullando l’atto di affidamento diretto al Cineca (ndr: il concorrente aveva offerto un prezzo molto inferiore, vedi pp.30). Si arriva così al 2015, quando il Consiglio di Stato in via definitiva stabilisce che Cineca non è un soggetto in house, dunque non può ricevere affidamenti diretti dai propri consorziati (università, MIUR, ecc.) senza gare. E arriviamo al febbraio 2017, quando il Tar del Lazio sentenzia che i fondi ministeriali del Miur, pari 18,7 milioni di euro su base annua, sono “un aiuto di stato illegale”.
A fronte di questa cronistoria, incredibilmente, nessuno è corso ai ripari. Non si è mossa la governance di Cineca, non quella del MIUR e neppure le Università che hanno continuato come nulla fosse a dare affidamenti diretti (senza gare). Quella della Calabria, ad esempio, che sta continuando a utilizzare (e remunerare) il consorzio come proprio fornitore a seguito di un affidamento diretto che è stato annullato dai giudici per tre volte e non ha bandito alcuna gara. Il consorzio, del resto, ha continuato ad accettare tali affidamenti diretti e ad approvare i propri bilanci dichiarando ancora di essere un organismo in house: “Come gli anni scorsi si rileva che il Consorzio in quanto organismo in house sviluppa la propria attività…” recita l’ultimo bilancio approvato a pag. 160. Non solo. Quando il Consiglio di Stato ha sentenziato che il consorzio doveva fare le gare come qualunque altra impresa il governo è subito corso ai ripari infilando nel decreto Enti Locali un emendamento ad hoc ribattezzato il “salva-Cineca“.
Andrebbero indagati a fondo i motivi della pervicace resistenza e ritrosia nell’ottemperare sentenze, di questo offrire sempre una sponda anziché un argine a un fornitore che su presupposti giuridici cassati dai giudici lede sistematicamente la concorrenza. Perché va da sé che se le soluzioni e i prodotti offerti da Cineca fossero effettivamente i migliori su piazza per qualità tecniche/economiche vincerebbe le gare che venissero indette dagli atenei italiani (senza gara, nessuno lo saprà). Da tempo su questo circolano le interpretazioni più malevole che accreditano indicibili vantaggi legati ancora una volta alla natura mista pubblico-privato: come soggetto di diritto privato Cineca, gode infatti di un’agibilità di spesa che non ha pari nel pubblico, assume chi vuole senza concorso, spende quel che vuole e offre incarichi di consulenza senza rendere conto dettagliatamente a nessuno. Il bilancio pubblico che i professori del Consorzio approvano ogni anno riporta solamente le cifre aggregate, per la spesa per “servizi” da 30 milioni di euro annui. Punto.
La benevolenza raggiunge punte esilaranti. Nel 2016 l’Università degli Studi di Foggia affida direttamente a Cineca i servizi informatici per gli studenti. Scatta la segnalazione all’Antitrust che intima all’ateneo di interrompere la procedura per fare una vera gara. Il cda però tira dritto nonostante l’autorità avesse minacciato ricorso giurisdizionale tramite l’Avvocatura di Stato. Che guarda caso non è mai arrivato e il motivo è il pezzo forte: a fine 2016 una lettera protocollata dell’Avvocatura dello Stato spiega, con tante scuse all’Antitrust, che “per uno spiacevole disguido d’archivio” l’avvocato dello Stato incaricato di procedere contro il Cineca non ha potuto farlo, pur avendo avuto a disposizione dall’Antitrust tutti gli atti necessari a proporre il ricorso. Forse se li sono persi. Poi uno va a vedere chi fornisce i servizi web, it etc all’Avvocatura di Stato. E chi ci trova? Ovviamente il Cineca. Selezionato, ovviamente, senza fare alcuna gara.