Abbiamo bisogno di una nuova ondata di liberalizzazioni, in particolare ora che la digitalizzazione sta cambiando il mondo e aprendo spazi inesplorati per la proposta di nuovi servizi.
Amo confrontarmi con amici appassionati e competenti: vi racconto, quindi, di alcune riflessioni fatte con Antonio Garufi (un professionista del settore finanziario e accademico) sulla scia dei fatti di attualità riguardanti i blocchi e le proteste, durate ben 6 giorni, da parte dei tassisti delle principali città italiane.
Liberalizzare e aumentare la concorrenza non vuol dire eliminare ogni regola e lasciare le nostre città in mano a multinazionali tecnologiche che eludano le tasse grazie alla compiacenza di Paesi europei partner che ci fanno concorrenza sleale. Vuol dire mettere più potere d’acquisto in tasca ai più deboli. Si deve liberalizzare e regolamentare, facendo rispettare le regole e pagare le tasse.
Ma al centro del pensiero vi dobbiamo essere tutti noi, i consumatori, l’unica classe non organizzata a falange, che più di ogni altra ha bisogno di una tutela del governo e che paga ogni giorno gli effetti della mancanza di concorrenza.
Il tema torna di attualità ogni volta che i tassisti bloccano intere in città con le loro proteste. Sono stati investiti miliardi per collegare velocemente parti di Paese e poi questa velocità si infrange sulla lentezza e sul fastidio di code interminabili di persone ostaggi dei disagi. L’Italia resta l’unico Paese in cui i clienti aspettano i tassisti, quando in tutto il mondo è il contrario.
Per una nazione con enormi opportunità turistiche e più di 40 milioni di visitatori l’anno, il tema dei trasporti è di vitale importanza. Eppure è uno dei nostri principali punti deboli. Dobbiamo rendere accessibile il nostro patrimonio, ma la burocrazia, gli interessi di pochi e la generale arretratezza tecnologica e organizzativa ostacolano la creazione di ricchezza per tutti. Taxi, treni (oltre alle Frecce), traghetti, aerei.
Negli ultimi trent’anni purtroppo, i governi non hanno saputo trovare soluzioni efficienti, probabilmente per via del potere di ricatto, addirittura estorsivo, che quelle categorie hanno sulla quiete pubblica.
Difficilmente si sente parlare di qualità del servizio. Salendo su un taxi si sentono solo slogan demagogici, gretti e faziosi come: “I governi ci stanno consegnando alle multinazionali”. Che poi è lo stesso slogan che si sente non appena si sfiora qualsiasi privilegio o rendita corporativa per dare un beneficio alla collettività.
Diamo voce anche ai cittadini qualche volta! Ai pendolari, ai lavoratori, ma anche a quelli che in Italia sono di passaggio e portano ricchezza, ma che se continuiamo a trattare così, non torneranno più. Del resto l’arretratezza del servizio è uno dei motivi per cui l’Italia ha circa la metà dei turisti della Francia pur avendo più risorse turistiche da offrire.
I taxi sono il primo biglietto per gli stranieri in Italia e incredibilmente, molti tassisti non parlano inglese. Cosa che appare quanto mai bizzarra considerata la loro posizione di prima linea nell’accoglienza. Perché non istituire l’obbligo di un esame d’inglese per conseguire, o mantenere la licenza del taxi? Immaginiamo le possibili reazioni, le stesse che si ripetono appena si vogliono rilasciare più licenze o liberalizzare pezzetti di vita cittadina.
Il problema è che da sempre in Italia le tutele alle corporazioni sono direttamente proporzionali al potere di ricatto che queste hanno sulla collettività.
Bisogna dire a gran voce che se si liberalizza il servizio, il costo per turisti e studenti si abbassa e questi possono permettersi di mangiare una pizza con gli amici in più o di fare qualche acquisto in più, le città di notte risultano più sicure e forse si avrebbero meno persone giovani alla guida oltre ai limiti alcolici consentiti.
E’ mai possibile che per andare in taxi da Milano all’unico aeroporto internazionale del capoluogo lombardo ci vogliano 95 euro, un costo maggiore di molti voli low-cost? Queste risorse finiscono nelle tasche di corporazioni che usano la propria posizione dominante e quasi monopolistica, per tutelarsi o arricchirsi alle spalle di tutti i cittadini. E’ poi decisamente incredibile che molti tassisti si sentano in diritto di poter rifiutare di far pagare i clienti col bancomat. Non possiamo più tollerare furbizie.
Non possono esistere diritti acquisiti che vanno a strangolare le libertà e il benessere di tutti. In un’economia digitale basata sulla fiducia in cui finalmente si è presa la buona abitudine di recensire i servizi comprati, rendendo il sistema più meritocratico, si pensi a un sistema pubblico di recensioni per i passeggeri dei taxi in modo che chi non riceve un servizio professionale possa segnalarlo, premiando chi, invece, offre un miglior servizio. Taxiadvisor?
E se certamente è vero che molti tassisti si sono indebitati per le licenze, si pensi a un piano per aiutarli nel rimborso del debito. Per lo Stato questo sarebbe un costo, certo, ma nettamente inferiore a quelli procurati dal potere di ricatto, dal blocco del Paese per giorni interi e dai danni reputazionali di lungo termine. Potrebbe rivelarsi un gran bell’investimento per il futuro.