Cronaca

Frodi e corruzione “costano alle aziende dall’1 al 3% del fatturato annuo”

È quanto emerge Global Fraud & Risk Report 2016/17 realizzata dalla società investigativa Kroll. Secondo il dossier in 8 casi su 10 sono gli stessi lavoratori a danneggiare l’impresa. In particolare i neo assunti, il management e gli ex dipendenti

L’aumento delle frodi e della corruzione determina perdite milionarie per le aziende che ne sono vittima: dall’1% al 3% del fatturato annuo secondo più della metà delle imprese intervistate nel Global Fraud & Risk Report 2016/17 realizzata dalla società investigativa Kroll. Secondo il dossier in 8 casi su 10 sono gli stessi lavoratori a danneggiare l’impresa. In particolare i neo assunti, il management e gli ex dipendenti.

In Italia il 53% dei manager indica le segnalazioni dei dipendenti come principale strumento per  portare alla luce i comportamenti illeciti. Una percentuale che supera la media (44%) e colloca il nostro Paese sopra a Russia (41%) e Canada (44%) e sotto paesi come la Cina (55%) e l’India (66%). Si tratta del fenomeno dei whistleblowers, dipendenti che fungono da sentinelle contro l’illegalità. “Non sempre troviamo gli organi interni alle aziende italiane adeguatamente attrezzati e provvisti delle risorse necessarie per tutelare le nostre imprese – spiega Marianna Vintiadis, responsabile Kroll per il Sud Europa –. Ecco perché in Italia e in Cina il fenomeno del whistleblowing rimane la fonte primaria per l’identificazione dei problemi mentre negli USA sono gli audit interni ad essere strumentali nella lotta contro la corruzione”.

L’emergenza sulle frodi resta comunque elevata come evidenziano i numeri del report. Negli ultimi dodici mesi su 545 senior executives intervistati l’82% è venuto a conoscenza di una frode: nel 2015 la percentuale era del 75%. Per l’Italia l’aumento in un anno è di soli tre punti percentuali ma il dato è poco confortante. Il 77% dei manager dichiara di aver subito un tentativo di raggiro mentre il 91% ritiene ci sia stato un aumento dei rischi.

Colpisce però la differenza di preoccupazioni tra i vari paesi. In Italia i dirigenti non si allarmano per gli attacchi informatici quanto i colleghi cinesi. Il 34% di loro si preoccupa invece degli ammanchi in magazzino. Non a caso la prima misura antifrode introdotta dalle aziende italiane è la messa in sicurezza dei beni materiali (83%) e solo dopo troviamo gli interventi di cybersecurity (72%). Sul podio delle paure italiane, secondo il report, ci sono poi la sottrazione di informazioni (26%) a cui seguono le infrazioni nella compliance interna (26%). Si tratta di comportamenti maggiormente legati al “fattore umano” su cui Kroll ha elaborato diverse strategie di intervento. “In Italia l’approccio alla sicurezza è caratterizzato da una dicotomia – conclude Vintiadis – se da un lato impieghiamo sistemi sofisticatissimi e molte energie per limitare gli illeciti “tradizionali” come i furti di beni materiali, non ci rendiamo ancora del tutto conto che il vero tesoro sono i dati nelle nostre mani e la nostra reputazione”.