Televisione

Il Commissario Montalbano, non è ora di mandare in pensione questo prodotto televisivo abusato?

L’àncora Montalbano, con la sua pesantissima zavorra nazionalpopolare, con il suo terrificante ripetersi seriale, senza uno sbaffo di colore fuori posto, senza una stilla di variazione nel ritmo e nei dialoghi, nella parole e nelle fede (spettatoriale), sembra quelle cartoline ingiallite che ritroviamo nei bar di provincia lasciate lì immobili

La polemica di Davide Turrini

Bravo ma basta. E’ ora che Il Commissario Montalbano chiuda con i (cospicui) voucher di Rai1 e apra la pratica della pensione. Siamo stati zitti per una vita. Abbiamo lasciato che ogni episodio seguisse l’altro senza sfiorare la sacra icona nazionale. Ma ora, conclusa anche l’undicesima stagione, visto il “the end” dell’episodio Come voleva la prassi, è tempo di tirare giù la serranda. Finiamola con questo anonimo andazzo, con questo piattume scenografico, con questa recitazione appena solleticata da Luca Zingaretti e compagnia catatonica recitante. Sono quasi vent’anni che la tv italiana è rimasta incagliata in questo funesto archetipo di (non) creatività. L’àncora Montalbano, con la sua pesantissima zavorra nazionalpopolare, con il suo terrificante ripetersi seriale, senza uno sbaffo di colore fuori posto, senza una stilla di variazione nel ritmo e nei dialoghi, nella parole e nelle fede (spettatoriale), sembra quelle cartoline ingiallite che ritroviamo nei bar di provincia lasciate lì immobili, a farsi osservare in continuazione come tassa e gloria del tempo che fu.

Inutile che il rilancio di questa terrificante doppietta, ultimo (magari!) giro di campo, tra Il Covo di vipere e Come voleva la prassi, sia stata spinta come una “variazione dark”, come qualcosa di “nuovo”, rispetto al reiterarsi imperturbabile della noia del Commissario che nuota e guarda il mare. Perché, come dire, un rivolo di sangue, o un seno intravisto da lontano non fa di certo primavera anzi, fa percepire quello sforzo di rappresentare qualcosa che a livello artistico non è nelle proprie povere corde. Prodotto anonimo e monotono, la serie diretta (?) da Alberto Sironi, sintesi di un bisogno di ipnosi collettiva da primo canale, ha comunque ricevuto il massaggio cardiaco di un grandissimo autore ampiamente sottovalutato nel nostro cinema, Francesco Bruni (come regista Scialla e Noi 4; come sceneggiatore tre quarti di film di Paolo Virzì). Ma, appunto, è stato come installare un software dell’iPhone ad un Motorola MicroTAC. E ancora: Montalbano non è nemmeno ritorno al classicismo e alla tradizione, ma semplice stasi, frigido immobilismo.

Poi chiaro, come quella Fiat Tipo usata per aprire ogni inquadratura di raccordo tra luoghi diversi del set, che entra in scena da sinistra e si parcheggia a destra, lenta, lentissima, la tradotta del Commissario Montalbano non è nemmeno un “esempio” su come si facevano le serie tv “una volta”. Il mestiere è lezione, sapere, conoscenza, magari da tramandare a chi verrà dopo. Non un incantato pilota automatico che rulla sulle battute disperanti di un poliziotto, macchietta comica, che ha ripetuto anche ieri sera la stessa scivolosissima gag sgarrupata almeno dieci volte. Interminabile, inguardabile, letale.

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