“Sul destino delle aree abbiamo un referendum popolare che dobbiamo e vogliamo rispettare”. Così il sindaco Pisapia al TG3 del 13.07.2011 dopo l’approvazione dell’accordo di programma su Expo 2015. Che cosa aveva indicato il referendum? Era il terzo referendum consultivo del 2011, che chiedeva se conservare il futuro parco agro-alimentare dell’area Expo o no. La risposta del 96% dei milanesi era stata: “Sì”. E solo il 48% di loro aveva scelto Pisapia come sindaco nella stessa occasione; anche se poi il 55% lo preferì nel ballottaggio.

Il seguito racconta finora una storia un po’ diversa. Le buone intenzioni sono le prime a scomparire nei comportamenti della classe politica, convinta che svaniscano anche nella memoria collettiva. Non sempre, però, accade: ci sono parecchi esempi che dimostrano il contrario. E la democrazia rappresentativa corre forti rischi se non riesce a dare risposte sincere e concrete – sia nel governo delle nazioni, sia in quello delle municipalità – alla necessità di partecipazione dei cittadini.

Neanche il referendum sull’apertura dei Navigli, approvato dal 94% dei milanesi, ha avuto finora un seguito concreto, al di là del fervore volontaristico di un manipolo di docenti universitari e, soprattutto, dell’impegno di molti studenti degli atenei milanesi, che la giunta Pisapia accolse con la freddezza tipica con cui si ricevono gli intrusi nel proprio quartiere blindato. Ma se i Navigli possono costituire il filo di Arianna del futuro sistema urbano della città, come il sindaco Sala sembra avere colto con intelligenza, le aree di sviluppo strategico ne sono la sostanza, la viva carne. E l’amministrazione milanese aveva seguito finora, per gli ex-scali ferroviari come per il post-Expo, la via dell’appalto di scelte strategiche. L’esternalizzazione come regola, con il rischio di un futuro insostenibile per l’ambiente e la società.

Quanto si dibatte oggi (7 marzo 2017) a Palazzo Marino con l’iniziativa “Scalare Milano: visioni, urbanistica, finanza, beni comuni” (dalle ore 17, Sala Alessi, Piazza della Scala, 2) non è una questione locale, ristretta al milanese, ma l’archetipo della capacità con cui una comunità saprà gestire il futuro della propria terra e del proprio ambiente. Non è soltanto una questione di scali ferroviari dismessi, ma è in gioco il futuro di Milano, perché se Milano prende la via della esternalizzazione, sarà così nell’intero Paese. E così facendo la comunità abdicherà al proprio ruolo chiave: disegnare il futuro.

Fin dal piano regolatore del 1884, il Piano Beruto, Milano è stata all’avanguardia per capacità municipale di progettare la città. E Cesare Beruto era l’ingegnere capo del Comune, colui che aveva già progettato la sistemazione di Piazza del Duomo. In house si direbbe oggi. Sarebbe così poco charmant ritornare al passato nel disegnare la città assieme ai cittadini?

Nel frattempo, l’erede degli espropriati, l’hacendado Ireneo Funes, attende fiducioso dalla Provincia del Rio Negro che possa concretizzarsi il proprio sogno di un nuovo bosco (orizzontale) nella città dei suoi avi, il Bosco Cipolletti a Milano. Le foreste urbane giocano un ruolo importante nel disegnare paesaggio di una città, rendendola più sana e attraente. E tra i benefici di una foresta urbana non va dimenticato il contrasto all’inquinamento dell’aria.

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