di Monica Rota *
In questi giorni sono numerose le iniziative legate all’8 marzo, un’occasione per riflettere anche sulla condizione delle donne lavoratrici, per analizzare cosa è stato fatto e quanto ancora c’è da fare. A Milano si è tenuto un interessante convegno, cui hanno partecipato la consigliera nazionale, Franca Cipriani, e la consigliera regionale di Parità, Carolina Pellegrini, sul tema “creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e professionale”, oggetto della risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016.
Il documento esaminato parte da una serie di dati statistici, in primis quello demografico, che evidenziano come un tasso di natalità in costante flessione stia trasformando gradualmente l’Unione Europea in una società gerontocratica, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne conseguono.
In Europa il tasso di occupazione maschile nel 2015 si è attestato al 75,9% mentre quello femminile è stato del 64,3%, nonostante il maggiore livello di istruzione delle donne. In Italia il livello di occupazione femminile si attesta al 47,2%, mentre in uno dei Paesi più virtuosi nelle politiche di genere, la Svezia, si arriva al 77%. Esattamente un anno fa la Commissione Europea ha osservato che “le donne sono ancora sottorappresentate nell’occupazione ma sovrarappresentate negli impieghi a tempo parziale e nei settori meno retribuiti; le loro retribuzioni orarie sono inferiori, anche quando si esegue lo stesso lavoro, anche se in termini di livello di istruzione esse hanno sorpassato gli uomini”.
Questa osservazione, suffragata dai dati relativi al divario retributivo tra uomini e donne, pari al 16,3%, e quelli relativi alla fruizione del part time – che come noto riguarda pressoché esclusivamente le donne – apre la questione della cosiddetto femminilizzazione della povertà, fenomeno in costante crescita, che si riverbera inesorabilmente sul divario pensionistico di genere, pari addirittura al 39%. Quindi, se si unisce il fattore “discriminazione retributiva” a un orario di lavoro ridotto, si arriva evidentemente a minare l’indipendenza economica sia durante la vita lavorativa di una donna che successivamente, allorché la stessa dovrà accedere al trattamento pensionistico.
L’attenta lettura della risoluzione e il vivace dibattito che ne è scaturito ha portato a una riflessione su tre temi fondamentali che afferiscono alla sfera sociale, culturale e legislativa degli Stati membri.
Il primo è quello che abbraccia la sfera culturale ovvero l’abbattimento di tutti quegli stereotipi, ampiamente veicolati dalla società, che conferiscono alle donne un ruolo secondario. Le consigliere di Parità hanno descritto un quadro abbastanza sconfortante che attraversa l’intero Paese: le nuove generazioni pensano che il chirurgo sia maschio e l’infermiera femmina, che il pilota sia una professione esclusivamente maschile, che una donna non possa fare l’elettricista…
Attraverso interventi e progetti mirati, rivolti in primis al personale docente, attraverso un’adeguata formazione sulle tematiche di genere, e successivamente anche ai bambini e ai ragazzi, le consigliere di Parità cercano di instillare insieme il seme dell’uguaglianza e della parità di genere, nonostante la mancanza di risorse che consentano di effettuare interventi a largo raggio e che portino a un risultato efficace e duraturo, tema peraltro già affrontato su questo blog.
La seconda rilevante questione è quella relativa alla fruizione dei congedi, dal documento si evince che: “Solo alcuni Stati membri incoraggiano i padri a sfruttare i congedi di paternità o parentali, e che gli uomini sono così privati della possibilità sia di partecipare alla cura dei figli che di trascorrere tempo con loro”, la soluzione legislativa, che poggia su un rinnovamento culturale e sociale, “…ribadisce che il congedo parentale dovrebbe essere condiviso in maniera equa tra i genitori e che una parte significativa del congedo dovrebbe rimanere non trasferibile” (v. Risoluzione Parlamento europeo 12 maggio 2016).
La Svezia – come detto – è all’avanguardia nell’uguaglianza di genere nella crescita dei figli: i padri hanno diritto a tre mesi di congedo retribuito per ogni figlio (frequentemente fruiscono di periodi più lunghi) e tale diritto “non è trasferibile alla madre”. Il dato sull’occupazione in Svezia, così lontano dalla nostra realtà, poggia proprio sul concetto innovativo di condivisione, che a sua volta trae linfa vitale da una reale parità di genere: se alla base vi è parità retributiva, la scelta sulla fruizione dei congedi non dovrà ricadere su chi guadagna meno, come purtroppo accade in Italia.
L’ultima importante riflessione che fa del modello svedese un esempio per tutta l’Europa è la quantità e qualità dei servizi all’infanzia, sul punto la risoluzione ha posto in evidenza che “solo 11 Stati membri hanno conseguito il primo obiettivo di Barcellona ovvero “fornire assistenza all’infanzia ad almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i tre anni e l’età dell’obbligo scolastico”. Tale problema non può che essere affrontato con misure strutturali e non certo – come spesso accade in Italia – con provvedimenti estemporanei che non rispondono alle esigenze quotidiane delle famiglie.
Concludendo, tanto tempo è passato dalle dichiarazione di un politico che alla presenza di Tina Anselmi, prima ministra donna, disse: “Siamo felici di avere con noi il ministro Anselmi, che benché sia donna, ricopre così degnamente il suo incarico”, ma il superamento di barriere sociali e culturali deve continuare ad essere un obiettivo e portarci a un’equa condivisione dei ruoli.
* Avvocato giuslavorista, socia AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani). Vivo e lavoro a Milano, ho due figli. Da sempre interessata alla questione delle pari opportunità e delle discriminazioni di genere, ho sempre esercitato la professione a favore delle lavoratrici e dei lavoratori. Ho collaborato con la Consigliera Provinciale di Parità e ora collaboro con la Consigliera Regionale di Parità.
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Lavoro & Precari - 8 Marzo 2017
8 marzo 2017: non c’è parità per le donne lavoratrici
di Monica Rota *
In questi giorni sono numerose le iniziative legate all’8 marzo, un’occasione per riflettere anche sulla condizione delle donne lavoratrici, per analizzare cosa è stato fatto e quanto ancora c’è da fare. A Milano si è tenuto un interessante convegno, cui hanno partecipato la consigliera nazionale, Franca Cipriani, e la consigliera regionale di Parità, Carolina Pellegrini, sul tema “creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e professionale”, oggetto della risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016.
Il documento esaminato parte da una serie di dati statistici, in primis quello demografico, che evidenziano come un tasso di natalità in costante flessione stia trasformando gradualmente l’Unione Europea in una società gerontocratica, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne conseguono.
In Europa il tasso di occupazione maschile nel 2015 si è attestato al 75,9% mentre quello femminile è stato del 64,3%, nonostante il maggiore livello di istruzione delle donne. In Italia il livello di occupazione femminile si attesta al 47,2%, mentre in uno dei Paesi più virtuosi nelle politiche di genere, la Svezia, si arriva al 77%. Esattamente un anno fa la Commissione Europea ha osservato che “le donne sono ancora sottorappresentate nell’occupazione ma sovrarappresentate negli impieghi a tempo parziale e nei settori meno retribuiti; le loro retribuzioni orarie sono inferiori, anche quando si esegue lo stesso lavoro, anche se in termini di livello di istruzione esse hanno sorpassato gli uomini”.
Questa osservazione, suffragata dai dati relativi al divario retributivo tra uomini e donne, pari al 16,3%, e quelli relativi alla fruizione del part time – che come noto riguarda pressoché esclusivamente le donne – apre la questione della cosiddetto femminilizzazione della povertà, fenomeno in costante crescita, che si riverbera inesorabilmente sul divario pensionistico di genere, pari addirittura al 39%. Quindi, se si unisce il fattore “discriminazione retributiva” a un orario di lavoro ridotto, si arriva evidentemente a minare l’indipendenza economica sia durante la vita lavorativa di una donna che successivamente, allorché la stessa dovrà accedere al trattamento pensionistico.
L’attenta lettura della risoluzione e il vivace dibattito che ne è scaturito ha portato a una riflessione su tre temi fondamentali che afferiscono alla sfera sociale, culturale e legislativa degli Stati membri.
Il primo è quello che abbraccia la sfera culturale ovvero l’abbattimento di tutti quegli stereotipi, ampiamente veicolati dalla società, che conferiscono alle donne un ruolo secondario. Le consigliere di Parità hanno descritto un quadro abbastanza sconfortante che attraversa l’intero Paese: le nuove generazioni pensano che il chirurgo sia maschio e l’infermiera femmina, che il pilota sia una professione esclusivamente maschile, che una donna non possa fare l’elettricista…
Attraverso interventi e progetti mirati, rivolti in primis al personale docente, attraverso un’adeguata formazione sulle tematiche di genere, e successivamente anche ai bambini e ai ragazzi, le consigliere di Parità cercano di instillare insieme il seme dell’uguaglianza e della parità di genere, nonostante la mancanza di risorse che consentano di effettuare interventi a largo raggio e che portino a un risultato efficace e duraturo, tema peraltro già affrontato su questo blog.
La seconda rilevante questione è quella relativa alla fruizione dei congedi, dal documento si evince che: “Solo alcuni Stati membri incoraggiano i padri a sfruttare i congedi di paternità o parentali, e che gli uomini sono così privati della possibilità sia di partecipare alla cura dei figli che di trascorrere tempo con loro”, la soluzione legislativa, che poggia su un rinnovamento culturale e sociale, “…ribadisce che il congedo parentale dovrebbe essere condiviso in maniera equa tra i genitori e che una parte significativa del congedo dovrebbe rimanere non trasferibile” (v. Risoluzione Parlamento europeo 12 maggio 2016).
La Svezia – come detto – è all’avanguardia nell’uguaglianza di genere nella crescita dei figli: i padri hanno diritto a tre mesi di congedo retribuito per ogni figlio (frequentemente fruiscono di periodi più lunghi) e tale diritto “non è trasferibile alla madre”. Il dato sull’occupazione in Svezia, così lontano dalla nostra realtà, poggia proprio sul concetto innovativo di condivisione, che a sua volta trae linfa vitale da una reale parità di genere: se alla base vi è parità retributiva, la scelta sulla fruizione dei congedi non dovrà ricadere su chi guadagna meno, come purtroppo accade in Italia.
L’ultima importante riflessione che fa del modello svedese un esempio per tutta l’Europa è la quantità e qualità dei servizi all’infanzia, sul punto la risoluzione ha posto in evidenza che “solo 11 Stati membri hanno conseguito il primo obiettivo di Barcellona ovvero “fornire assistenza all’infanzia ad almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i tre anni e l’età dell’obbligo scolastico”. Tale problema non può che essere affrontato con misure strutturali e non certo – come spesso accade in Italia – con provvedimenti estemporanei che non rispondono alle esigenze quotidiane delle famiglie.
Concludendo, tanto tempo è passato dalle dichiarazione di un politico che alla presenza di Tina Anselmi, prima ministra donna, disse: “Siamo felici di avere con noi il ministro Anselmi, che benché sia donna, ricopre così degnamente il suo incarico”, ma il superamento di barriere sociali e culturali deve continuare ad essere un obiettivo e portarci a un’equa condivisione dei ruoli.
* Avvocato giuslavorista, socia AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani). Vivo e lavoro a Milano, ho due figli. Da sempre interessata alla questione delle pari opportunità e delle discriminazioni di genere, ho sempre esercitato la professione a favore delle lavoratrici e dei lavoratori. Ho collaborato con la Consigliera Provinciale di Parità e ora collaboro con la Consigliera Regionale di Parità.
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Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".