Quest’anno l’8 marzo assume un significato particolare grazie alla promozione dello sciopero internazionale delle donne, partito da un’iniziativa delle donne argentine e latinoamericane che hanno protestato per la barbara uccisione di una ragazza e l’incarcerazione da parte del governo Macri della leader indigena dei Tupac Amaru Milagro Sala il 16 gennaio 2016. Lo sciopero si è via via allargato anche ad altri Paesi e ad esso si sono aggregati anche numerosi individui di sesso maschile (io stesso ho scioperato su invito della Federazione dei lavoratori della conoscenza Cgil). In tal modo questa data ha riacquistato alcune delle valenze di lotta che furono alla sua origine. Troppo spesso infatti si tende a dimenticare che questa giornata, lungi dal costituire un accadimento rituale e folkloristico, è stata sempre intrecciata con le lotte più avanzate della classe operaia e di altri settori sociali. Possiamo ricordare in questo senso la manifestazione dell’8 marzo 1914 che segnò l’inizio in Germania della settimana rossa che purtroppo non riuscì a evitare lo scoppio della Prima guerra mondiale, come pure quella dell’8 marzo 1917 a San Pietroburgo contro la guerra che rappresentò l’inizio della fine dello zarismo e il preludio della Rivoluzione sovietica di cui si celebra quest’anno il centenario.
Possiamo quindi dire che da sempre le donne sono in prima fila nelle lotte per la pace e la giustizia sociale. Ciò d’altronde è ben comprensibile se pensiamo che esse sono le principali vittime dell’attuale ingiusto ordine sociale che poggia su vari pilastri fra i quali patriarcato, capitalismo e razzismo. Certo, non tutte le donne sono delle rivoluzionarie , altrimenti non si spiegherebbe l’esistenza delle Thatcher, Clinton, Le Pen,Boschi, ecc. Eppure è innegabile che il movimento collettivo delle donne, che combatte in quanto tale il patriarcato, cioè il dominio degli uomini sulla società, ma anche tutti i fenomeni a esso associati, assume da sempre una valenza rivoluzionaria fondamentale che va oggi rilanciata.
Vale la pena, per illustrare la ricchezza di questo movimento, fare riferimento a un brano dell’appello promosso da Lotto marzo/Non una di meno Roma: “Constatiamo ogni giorno quanto la violenza sia fenomeno strutturale delle nostre società, strumento di controllo delle nostre vite e quanto condizioni ogni ambito della nostra esistenza: in famiglia, al lavoro, a scuola, negli ospedali, in tribunale, sui giornali, per la strada… per questo il prossimo 8 marzo sarà uno sciopero in cui riaffermare la nostra forza a partire dalla nostra sottrazione: una giornata senza di noi. Resteremo al sole delle piazze a goderci la primavera che arriva anche per noi a dispetto di chi ci uccide per “troppo amore”, di chi, quando siamo vittime di stupro, processa prima le donne e i loro comportamenti; di chi “esporta democrazia” in nostro nome e poi alza muri tra noi e la nostra libertà. Di chi scrive leggi sui nostri corpi; di chi ci lascia morire di obiezione di coscienza. Di chi ci ricatta con le dimissioni in bianco perché abbiamo figli o forse li avremo; di chi ci offre stipendi comunque più bassi degli uomini a parità di mansioni…”.
Come osserva Bia Sarasini su Il manifesto di oggi, “nessuna più delle donne può dire cosa è il lavoro oggi. Il lavoro spezzato, frammentato, svalorizzato“. Umiliato, possiamo aggiungere, da leggi emanate in aperto spregio dell’art. 1 della Costituzione come il Jobs act, mentre ancora attendiamo che venga fissato il referendum con il quale abolire talune delle sue parti peggiori. Ma la lotta delle donne è anche contro una classe politica impresentabile, composta da personaggi come Donald Trump o quel’eurodeputato polacco dal nome di Janusz Korwin-Mikke che fra un saluto a braccio teso e un insulto ai migranti, ha avuto modo di affermare che le donne devono guadagnare meno degli uomini perché sono più deboli, più piccole e meno intelligenti, e del quale si chiede oggi giustamente l’espulsione dal Parlamento europeo. Infine la lotta delle donne è per la pace, ma esistono giustamente anche donne che imbracciano le armi per la propria libertà e autodeterminazione, come le guerrigliere curde che combattono contro Isis e per l’instaurazione di una società in cui sia garantita la liberazione delle donne.
Le donne costituiscono com’è noto più della metà dell’umanità. Intorno ad esse e con la loro guida si deve oggi organizzare su scala planetaria un movimento contro il patriarcato, il razzismo, il maschilismo e la guerra, come ben spiegato dall’appello di varie donne, fra cui la rivoluzionaria afroamericana Angela Davis, pubblicato oggi da The Guardian che si rivolge alle donne statunitensi e di tutti gli altri Paesi.