In una lunga intervista al quotidiano Alberto Bianchi, definito "avvocato del renzismo contro le falsità del caso Consip", difende l'operato dell'ex premier, giura sull'onestà di tutti gli esponenti del presunto Giglio Magico e difende se stesso e la sua reputazione da quelli che lui definisce "sospetti senza prove"
Dietro l’attacco mediatico e giudiziario c’è “una coalizione eterogenea che punta a eliminare Matteo Renzi“. Parola di Alberto Bianchi, “avvocato del renzismo, contro le falsità del caso Consip” come si legge nel titolo scelto da Il Foglio per la lunghissima intervista a lui dedicata. Bianchi è presidente della fondazione Open di Matteo Renzi, titolare di uno studio legale molto noto e apprezzato a Firenze, membro del board di Enel (su nomina del governo Renzi) e consulente legale di Consip. Il suo nome è ricorrente negli ultimi giorni, da quanto l’inchiesta sulla centrale pubblica degli appalti occupa le prime pagine dei giornali. Oggi, in particolare, Alberto Bianchi è citato anche nell’articolo d’apertura del Fatto Quotidiano. Secondo quanto scritto da Marco Lillo, l’ad di Consip Luigi Marroni, mentre parla delle società sanzionate per la gara delle scuole belle, in testa le coop Cns e Manutencoop, spiega al presidente Consip Luigi Ferrara che “questa cosa l’ho affidata all’avvocato Alberto Bianchi e gli ho detto che lui deve seguirla con un collegio da fare”. Perché la scelta è ricaduta proprio su Ferrara? Marroni lo dice chiaramente, secondo quanto emerge dalle intercettazioni contenute nelle informative del Noe dei carabinieri: “Faccio così perché così sentite anche Alberto Bianchi che è vostro amico!”. Poi spiega a Ferrara: “È stato fatto apposta! Non so se sei d’accordo… se condividiamo la scelta con Bianchi lui è amico di Palazzo Chigi e gliela spiega lui”.
Parole che, lo si legge nelle carte del Noe, descrivono un rapporto molto stretto tra il governo Renzi e Bianchi. Quest’ultimo al Foglio conferma l’amicizia con l’ex presidente del Consiglio, ma smentisce categoricamente che questo dato di fatto gli abbia procurato dei vantaggi: “Si alimentano sospetti infondati in assenza di qualunque prova effettiva” ha detto il presidente della fondazione Open. Che poi ha precisato il suo pensiero: “Se io rubo devo essere punito, se favorisco un’impresa in cambio in cambio di incarichi devo risponderne – ha detto – Ma ciò va dimostrato e nel mio caso, essendo il tutto destituito di ogni fondamento, ci si limita a instillare il dubbio, a diffondere la diceria malevola, a offuscare la mia reputazione”. Per Bianchi, quindi, è tutto fango contro tanti esponenti del renzismo: Tiziano Renzi (“Non nutro il minimo dubbio circa la sua specchiata onestà, il suo nome non può essere accostato a presunti traffici illeciti”), Luca Lotti (“Contro di lui accusa che sono frutto di dicerie e nulla più. E’ onesto, il tempo sarà galantuomo”) e soprattutto lo stesso ex Rottamatore. Il motivo? Per Bianchi è semplice: “Si è formata una coalizione eterogenea” che ha l’obiettivo comune di “espellere dalla scena pubblica un corpo vissuto come estraneo”, “perché Matteo infastidiva al momento dell’ascesa e ha infastidito successivamente per il modo in cui ha esercitato il potere di governo”. E giù con la difesa del modus operandi dell’ex premier, con l’accusa di familismo rispedita al mittente (“Tiziano Renzi ha ricevuto qualche incarico cosiddetto di potere?”) al pari di quella relativa alle troppe nomine fatte dall’ex capo del governo perché – è la sintesi del pensiero di Bianchi – così fan tutti in Europa e così hanno fatto tutti in Italia nel passato non solo recente.
Parlando delle sue nomine e della sua posizione in Enel, poi, Alberto Bianchi ha sottolineato come la scelta dell’allora premier sia caduta su di lui “perché sono una persona di cui chi mi ha nominato si fida e perché sono un professionista con skill ed esperienza riconosciuta. Non sono queste – è la domanda retorica di Bianchi – le caratteristiche richieste quando si tratta di ricoprire incarichi per i quali non è previsto il concorso pubblico?”. Il consulente renziano è tornato avvocato quando si è trattato di fornire un parere personale sull’inchiesta Consip: “La violazione del segreto istruttorio desta allarme perché danneggia le indagini e mina alle fondamenta lo stato di diritto”.