Respinto l'emendamento al disegno di legge sul lavoro autonomo presentato da Sinistra Italiana - e appoggiato anche dal M5s - per regolare la cosiddetta “economia dei lavoretti”, equiparando alcune forme di questi ultimi ai rapporti di lavoro dipendente subordinato. "La mobilitazione non si arresta, ma cambia forma: ora ci concentreremo di più sul piano legale”, spiegano i rider licenziati
“Era oggi la votazione? Ed è stato proprio bocciato definitivamente?”. La prima reazione di Daniele, ex rider 36enne di Foodora, è di puro stupore. La Camera, infatti, ha appena respinto l’emendamento presentato da Sinistra Italiana per regolare la “gig economy”, e cioè la cosiddetta “economia dei lavoretti”, ed equiparare alcune forme di questi lavoretti ai rapporti di lavoro dipendente subordinato. Prima lo stupore, dunque, e subito dopo la delusione: “Insomma niente da fare in Parlamento: peccato”.
La proposta in questione è quella che era stata presentata dal deputato Giorgio Airaudo, primo firmatario di un emendamento al disegno di legge sul lavoro autonomo che è in discussione in queste ore a Montecitorio. Lo scopo preciso dell’emendamento lo ha riassunto lo stesso Airaudo durante il dibattito in aula. “Bisogna smascherare un falso – ha detto – c’è una parte del lavoro autonomo e del lavoro agile che in realtà è lavoro subordinato”. E che però, secondo l’ex sindacalista, non viene riconosciuto come tale: “Una vera ipocrisia, nascosta sotto una patina di modernità”. L’emendamento interessava, tra gli altri, proprio i rider di Foodora, l’azienda che si occupa di consegna di pasti a domicilio attraverso dei fattorini in bicicletta.
Non a caso, in occasione della presentazione dalla proposta alla Camera, il 20 febbraio scorso, Airaudo aveva chiesto a dei “foodorini” di accompagnarlo. Tra loro c’era Valerio, 29enne torinese, che nell’ottobre scorso fu di fatto licenziato in seguito ad un suo timido messaggio di proteste inviato su una chat collettiva di Whatsapp. “Francamente – racconta ora – non ci eravamo fatte troppe illusioni. Sapevamo che le possibilità che quell’emendamento passasse erano poche. Ma speravamo comunque che servisse ad avviare un dibattito parlamentare efficace per aumentare le tutele di chi lavora in condizioni di inaccettabile precarietà come noi”. Le tutele, appunto: Valerio fu messo da parte dai dirigenti dell’azienda semplicemente attraverso pochi clic. Venne infatti “sloggato”: il suo profilo, cioè, fu cancellato dalla piattaforma attraverso la quale ai rider venivano assegnati i turni di lavoro. “Da allora – ricorda – abbiamo continuato a batterci in vario modo. Certo la notizia di oggi proprio non ci voleva: una bocciatura così secca è davvero il peggio che potesse avvenire”.
A sostenere la proposta di Sinistra Italiana, alla Camera, sono rimasti solo i deputati del Movimento 5 Stelle. “Era doveroso: da tempo ci siamo impegnati a riconoscere a queste forme di lavori la subordinazione”, spiega la deputata pentastellata Tiziana Ciprini, relatrice di minoranza in aula. Ma ovviamente, i numeri non sono bastati. “Il Parlamento ha perso un’occasione per dare una prima risposta ai tanti giovani, e non solo, che lavorano nella ‘gig economy’, perché per loro è un vero e proprio lavoro, per di più con tutte le caratteristiche di un lavoro subordinato”, ha dichiarato alla fine della seduta Airaudo. “Con la bocciatura del nostro emendamento – ha detto sempre il deputato – questi lavoratori continueranno ad essere soli nella richiesta di maggiori diritti e per un lavoro decente”.
Soli, ma determinati a non arrendersi. “Non molliamo la lotta”, assicura Giuseppe, un altro dei ragazzi presenti alla Camera il 20 febbraio scorso. Nuove prospettive? “La mobilitazione non si arresta, ma cambia forma: ora ci concentreremo di più sul piano legale”, spiegano i rider licenziati. Da un lato c’è un esposto presentato, con la collaborazione dei Cobas, all’Ispettorato del lavoro di Torino. Dice Daniele: “In questi giorni molti di noi sono stati convocati: abbiamo spiegato le nostre ragioni e speriamo di avere risposte a breve”. Dall’altro lato, c’è la scelta di alcuni rider di rivolgersi – singolarmente o a piccoli gruppi – a degli avvocati, con l’obiettivo di avviare azioni legali contro Foodora, per contestare l’ingiusto trattamento ricevuto. “In ogni caso lo scopo resta quello – spiegano i fattorini – di vederci riconosciuto uno statuto diverso da quello di semplici collaboratori. Noi siamo, a tutti gli effetti, dei lavoratori subordinati, e come tali dobbiamo essere trattati”.