Il Latina calcio è ufficialmente fallito. Ma il Tribunale ha concesso l’esercizio provvisorio (su cui pure la Procura aveva dato parere negativo) e quindi i nerazzurri potranno continuare a giocare. La regolarità del campionato di Serie B è salva. Più o meno: ogni domenica scenderà in campo una formazione a un passo dal baratro, con la spada di Damocle di un’inchiesta penale sul capo della società e di un’asta fallimentare da celebrare il prima possibile, senza alcuna certezza sul futuro. Ma sempre meglio di vedersi cancellata una squadra da un giorno all’altro, assegnare 0-3 a tavolino in serie, falsare l’intero torneo passando da 22 a 21 squadre a metà stagione passata. Tifosi e vertici del mondo del pallone esultano per un fallimento.
I guai economici della società nerazzurra nascono da quelli giudiziari di chi l’ha gestita fino a ieri: ovvero l’ex presidente Pasquale Maietta, anche deputato e tesoriere alla Camera di Fratelli d’Italia, finito al centro della “Operazione Olimpia” e pure dell’inchiesta “Don’t touch”, per cui lo scorso settembre era stata anche spiccata una richiesta di arresto (sospesa in attesa dell’autorizzazione a procedere del parlamento, e poi caduta nel riesame). Era lui a drenare soldi nelle casse della società dal tessuto imprenditoriale cittadino, e secondo gli inquirenti persino dal Comune: come successo ad esempio per la garanzia pubblica per la fideiussione necessaria all’iscrizione al campionato. Senza dimenticare il ruolo del clan locale della famiglia Di Silvio, legata ai Casamonica e vicinissima a Maietta, che spadroneggiava all’interno dello stesso club calcistico, dove Costantino Cha-cha-cha Di Silvio aveva un ruolo di primo piano. Quando è esplosa l’inchiesta e Maietta è uscito di scena, anche la situazione del Latina calcio è precipitata: i soldi sono finiti e in pochi mesi il club ha accumulato debiti milionari.
Così si è arrivati all’istanza di fallimento. Con la complicazione, però, di rilevanti elementi di natura penale a peggiorare il quadro della procedura. Per questo la Procura aveva espresso giudizio negativo sulla richiesta di esercizio provvisorio, l’unico strumento per poter permettere alla squadra di arrivare a fine stagione: probabilmente i magistrati puntavano ad un fallimento immediato per procedere subito all’imputazione per bancarotta fraudolenta dei dirigenti. Il Tribunale fallimentare, invece, ha scelto la linea della continuità, non solo per dar modo alla squadra di finire il campionato ma anche per tutelare i creditori con il mantenimento del titolo sportivo e del parco giocatori.
In caso contrario, il Latina calcio avrebbe chiuso i battenti domani, i calciatori sarebbero stati tutti svincolati e la Serie B avrebbe perso una squadra, con l’assegnazione fino a giugno di 0-3 a tavolino per tutte le partite rimanenti e non disputate (come da regolamento). Un altro imprenditore, Benedetto Mancini, si era interessato al club e aveva messo a disposizione un milione di euro, ma anche il suo piano di risanamento è stato giudicato inidoneo. I curatori andranno avanti con i crediti residui della Lega calcio per i diritti tv (sperando che bastino), in attesa dell’asta fallimentare da celebrare entro il 30 giugno, data d’iscrizione al prossimo campionato (ammesso che avverrà). Chi vorrà il Latina dovrà farsi carico almeno dei 5,9 milioni di euro di debiti accumulati.
Se non altro l’immediato futuro pare garantito. Per la seconda volta in un anno la Serie B si salva per il rotto della cuffia: era successo solo pochi mesi fa al Pisa, anche lì per un tracollo economico derivante dai guai giudiziari dei proprietari (la famiglia Petroni). Ma i casi di fallimenti di varia natura sono ormai all’ordine del giorno anche nelle categorie maggiori, e non più soltanto in Lega Pro dove i club scompaiono come mosche: Siena, Varese, Bari, Parma. Tutti falliti in corso d’opera e arrivati al termine della stagione grazie ad esercizi provvisori. Ora anche il Latina. Il calcio italiano tira un sospiro di sollievo, di nuovo. Ma c’è davvero poco da festeggiare.
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