Ascesa e caduta della prima donna a diventare presidente della Corea del Sud, ora costretta a lasciare la Casa Blu dopo la conferma dell'impeachment da parte della Corte Costituzionale. Il successore deve essere eletto entro 60 giorni e la data più probabile per il voto appare il 9 maggio
Quando a ottobre 2016 scoppia lo scandalo che la travolgerà, la 64enne presidente sudcoreana Park Geun-hye è già da tre anni abbondanti l’inquilina della “Casa Blu”, lo stesso luogo dove è cresciuta da bambina. Figlia d’arte di Park Chung-hye, lo spietato dittatore appoggiato dagli Stati Uniti che fu leader della Corea dal 1961 al 1979, la presidente è un cavallo di razza: prima donna a rivestire la massima carica istituzionale del Paese, a capo del partito conservatore Saenuri, è stata eletta con il 51 per cento dei voti ed è rispettata anche se single, in un Paese legato alla tradizione confuciana come la Corea del Sud. Dopo le vittoriose elezioni del dicembre 2012, il suo indice di gradimento continua per altro a salire fino al naufragio del traghetto Sewol del 16 aprile 2014, in cui muoiono 295 persone: un disastro che scatena violente polemiche sui ritardi nei soccorsi. Da un 71 per cento di gradimento, Park crolla al 40, ma nulla fa pensare che il peggio debba ancora arrivare.
Il punto di non ritorno arriva a ottobre dello scorso anno, quando si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui Park avrebbe permesso a una misteriosa “santona” – Choi Soon-sil – di influenzare l’azione del governo da dietro le quinte. La presidente, secondo chi l’accusa, sarebbe plagiata dalla donna, che non ha nessun incarico formale e viene immediatamente soprannominata “Rasputin coreana”.
Choi è figlia di Choi Tae-min, uno dei più stretti consiglieri di Park padre: ex poliziotto, poi monaco buddista, Choi padre si convertì al cattolicesimo e fu leader della cosiddetta “Chiesa della Vita Eterna”. Ebbe sei mogli e una sfilza di accuse di corruzione. Nella sua frequentazione dei corridoi della “Casa Blu”, divenne quindi amico intimo anche di Park Geun-hye, nata nel 1952; soprattutto da quando, nel 1974, la giovane rampolla ebbe una crisi spirituale causata dalla morte della madre, moglie del dittatore.
Nel 1979, lo stesso Park Chung-hee morì assassinato da un ufficiale dei servizi segreti che, secondo alcune ricostruzioni, era parte di una fronda all’interno dell’establishment causata proprio dall’eccessivo potere che il leader sudcoreano aveva concesso al suo consigliere di fiducia, il santone Choi, morto nel 1994. Ed ecco spuntare la figlia, sempre al fianco di Park Geun-hye. Un rapporto oscuro tra famiglie che si tramanda attraverso le generazioni.
Tornando a tempi più recenti, il 25 ottobre la presidente sceglie la diretta televisiva per chiedere pubblicamente scusa al Paese e fare le prime ammissioni: confessa di avere dato a Choi Soon-sil accesso alle bozze di alcuni discorsi da lei pronunciati in occasioni ufficiali.
Il 31, la “santona” viene arrestata. Oltre ad avere riveduto i discorsi politici della presidente, emerge infatti con sempre maggiore chiarezza che Choi sarebbe immischiata in non meglio specificate “pubbliche relazioni” del governo: avrebbe esercitato un’influenza quotidiana sulla cosa pubblica e, guarda caso, nel frattempo ha accumulato enormi ricchezze. Spuntano cospicue donazioni fatte da businessmen d’alto rango a due fondazioni da lei controllate.
A questo punto della vicenda, già si parla del più grave scandalo politico nella storia recente della Corea del Sud. Il 4 novembre, la presidente chiede per la seconda volta scusa in diretta tv, ammette i propri errori e si dice “straziata”, ma nega di aver mai fatto parte di una setta. Intanto la sua popolarità secondo i sondaggi scende al 9 per cento, mentre anche un suo ex assistente, Ahn Jong-beom, viene arrestato con l’accusa di avere stornato 70 milioni di dollari da donazioni private per finanziare le fondazioni di Choi.
Il vaso di Pandora è ormai aperto e nello scandalo, che assume sempre più i contorni di una fiction, non mancano gli spunti bizzarri. Il 23 novembre, l’ufficio della presidenza è costretto a confermare le rivelazioni di un deputato dell’opposizione e ammette di avere acquistato 360 pillole di Viagra più altre confezioni del corrispettivo farmaco generico nel dicembre del 2015. Le pillole – secondo l’excusatio presidenziale – sarebbero servite contro il mal di montagna dei membri di una delegazione ufficiale durante visite di Stato in Etiopia, Uganda e Kenya. Si precisa però che nessuna delle pillole è stata poi utilizzata.
Intanto, fuori dalla “Casa Blu” si susseguono gigantesche manifestazioni di protesta che chiedono l’impeachment e la destituzione di Park.
Mentre Choi viene formalmente incriminata per abuso di potere e frode, il 29 novembre Park Geun-hye annuncia nel suo terzo mea culpa televisivo che è pronta a dimettersi qualora il parlamento lo decida. La mossa appare una strategia volta a dividere il fronte che chiede il suo impeachment. In pratica, i partiti d’opposizione otterrebbero la messa sotto accusa della presidente solo con il sostegno in Parlamento di almeno 28 membri del partito di maggioranza Saenuri, quello di Park. Ed è già cominciata l’emorragia di parlamentari del Saenuri che per prendere le distanze da Park ed evitare che tutto il partito sia trascinato nel baratro hanno dichiarato che voteranno a favore della messa in stato di accusa. La presidente cerca quindi di ri-dividere quel fronte inedito dicendosi disposta ad andarsene, a patto che si scelga una procedura soft che non destabilizzi il Paese.
Tuttavia l’impeachment viene votato a larga maggioranza il 9 dicembre, la presidente viene sospesa, mentre si attende la decisione della Corte Costituzionale che deve confermare la scelta parlamentare. Il Primo ministro Hwang Kyo-Ahn diventa presidente ad interim.
Il 17 gennaio arriva il momento del vicepresidente e plenipotenziario di Samsung, Jay Y. Lee, che viene arrestato per corruzione. Lee junior è l’unico figlio di Lee Kun-hee, il presidente del colosso tecnologico, e avrebbe dato mandato alle filiali di Samsung di fare donazioni da milioni di euro alla famiglia di Choi e alle due fondazioni da lei controllate. In cambio, avrebbe ottenuto favori politici dalla presidente Park, la quale avrebbe fatto pressioni sul fondo previdenziale nazionale affinché permettesse la fusione di due controllate di Samsung. È la prima volta che vengono colpiti i vertici delle chaebol, i grandi conglomerati industriali sinonimo di Made in Korea in tutto il mondo, anche se Lee e suo padre, che è inabilitato al lavoro dopo un infarto che risale al 2014, sono già finiti sotto inchiesta in passato. Ma in tutti i casi precedenti o erano stati assolti o avevano ottenuto la grazia presidenziale. La svolta dà la netta impressione che si stia davvero facendo terra bruciata attorno alla presidente.
Ed eccoci al 10 marzo, giorno in cui la Corte Costituzionale destituisce Park Geun Hye dalla presidenza in una decisone senza precedenti nella storia del Paese. C’erano già stati scandali che avevano riguardato la più alta carica del Paese, ma questo è il primo caso di destituzione. Un altro ex presidente, Roh Moo-hyun si era suicidato nel 2009 mentre si trovava sotto inchiesta.
“Ha tradito la fiducia della gente”, sentenzia la giudice Lee Jung-mi, presidente della corte riferendosi a Park, che viene immediatamente destituita di tutti i poteri e i privilegi, compresa l’immunità nei confronti di un procedimento penale per corruzione che potrebbe arrivare nelle prossime ore. Deve lasciare anche il palazzo presidenziale nel quale era cresciuta da bambina e in cui si è rintanata da mesi, rifiutandosi di comparire di fronte agli inquirenti per essere interrogata. Ora non può più farlo perché rischia l’arresto.
Secondo la costituzione, un nuovo presidente deve essere eletto entro 60 giorni e la data più probabile per il voto appare il 9 maggio. La strada sembrerebbe a questo punto spalancata per l’opposizione di sinistra e il favorito d’obbligo è Moon Jae-In, l’ex avvocato per i diritti umani già sconfitto da Park nel 2012. Secondo gli osservatori, la sinistra sarebbe più propensa a cercare un compromesso con la Corea del Nord e meno sensibile alle avances statunitensi. E infatti, Washington sta già premendo su Seul per accelerare il programma di installazione dei missili Thaad, in modo da mettere il futuro presidente sudcoreano di fronte al fatto compiuto. Altri spettatori molto interessati: Cina, Giappone e, naturalmente, Corea del Nord. Insomma, tutta l’Asia nord-orientale.
di Gabriele Battaglia