Sono messaggi di tenore diverso quelli lanciati dal palco del Lingotto, nel secondo giorno della kermesse organizzata dal Partito Democratico, a Torino: il ministro dell'Agricoltura ha predicato unità, mente il governatore del Piemonte ha attaccato frontalmente gli scissionisti
Da una parte gli auspici per avere un partito “diverso ma unito“, dall’altra gli attacchi agli scissionisti, rei di avere “cambiato casacca” in modo “vigliacco“. Sono messaggi di tenore diverso quelli lanciati dal palco del Lingotto, nel secondo giorno della kermesse organizzata dal Partito Democratico, a Torino . A dieci anni dalla sua fondazione, infatti, il partito di Matteo Renzi torna lì dove Walter Veltroni aveva lanciato la sua candidatura come primo segretario dei dem, proprio nelle settimane successive alla scissione, con la corrente di Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani e Roberto Speranza che ha lasciato il Nazareno fondando un nuovo gruppo parlamentare, Democratici e Progressisti.
Martina: “Diversi e uniti è possibile” – Ed è proprio ricordando la fondazione del partito che è cominciato l’intervento di Maurizio Martina, il ministro dell’Agricoltura candidato alle primarie in ticket con Renzi. “Proprio qui 10 anni fa si realizzò uno dei momenti più alti del centrosinistra, siamo qui perché vogliamo ancora essere all’altezza di quella prospettiva”, ha detto l’aspirante vicesegretario dem. “Io sento che c’è una responsabilità in più per la nostra generazione ed è quella di non percorrere le vie delle divisioni e che il vicino è un nemico. Troppo spesso abbiamo regalato alla destra praterie, gli abbiamo regalato spazi che non potevano avere. Noi proponiamo un progetto collettivo, non solo una leadership. Sappiamo che fare un partito oggi è una sfida difficile ma necessaria”, ha continuato, commentando poi la defezione della componente bersaniana che come lui proviene dai Ds. “Il Pd non è solo nostro, degli iscritti ed elettori, ma è un patrimonio del Paese e bisogna esserne consapevoli anche fuori di qui. Ecco perché indebolirlo è un errore, senza questa comunità non c’è futuro, senza il Pd non si battono le destre noi non abbiamo l’ansia dell’autosufficienza ma l’ansia del rinnovamento e dell’apertura. Siamo oltre la fusione fredda e la prospettiva di un partito che torna ad avere il trattino del centro-sinistra. Diversi e uniti è possibile”.
Chiamparino: “Cambiare casacca è da vigliacchi” – Molto più duro, invece, il passaggio che Sergio Chiamparino – altro ex Ds – ha dedicato ai “compagni” usciti dal partito. “”Io su questa barca ci sono salito sin dall’inizio. Non mi sentirei a posto con me sesso se in questo momento in cui il vento non è più lo stesso vento che soffiava in poppa nel 2014, io dovessi cambiare casacca e passare da un’altra parte. Mi sentirei un vigliacco“, ha detto il governatore della Regione Piemonte che è un sostenitore di Renzi ma che non ha risparmiato qualche critica alla corrente dell’ex presidente del consiglio. “L’area del Pd renziana, o il PdR, è quella che rileva per il Pd tutto ai fini dell’opinione pubblica. Quando parlano del Pd parlano di Renzi. E questa è una grande forza ma può anche essere una grande debolezza. È una grande forza perché si è creata una identità riformatrice, ma la debolezza è che se non viene investita può diventare anche autoreferenzialità“.
“La vocazione maggioritaria del Pd – ha continuato Chiamparino – fu un esperimento contraddittorio ma è un modo per dire la stessa cosa del creare egemonia. Perché la vocazione maggioritaria non è vocazione alla solitudine ma far tornare a votare gran parte del partito che non vota più e intercettare il voto di protesta che corre dietro a impostazioni sbagliate, retrive ed arretrate. Sarebbe importante se da questo incontro del Lingotto, nel mese e mezzo prima delle primarie emergesse questa proposta politica forte, di un Partito democratico che sia un soggetto che si propone cocciutamente di tornare ad aggregare un’area democratica e di sinistra che dia stabilità al governo e al Paese. Questo dovrebbe avvenire sia se si riuscirà a correggere in modo maggioritario la legge elettorale sia se questo non sarà possibile. Serve la capacità di creare egemonie e alleanze: questo consente di dare stabilità al Paese”.