L’abolizione dei vitalizi dei consiglieri regionali del Veneto? “E’ soltanto demagogia politica”. Di peggio, è “fuffa mediatica”. Ovvero, come recitano i dizionari, ciarpame, paccottiglia, chiacchiera senza fondamento, luogo comune, apparenza ingannevole. In una parola, il nulla, sbandierato su giornali e social network, un fumo inconsistente, inutile, vuoto. Non male come inizio per una commissione che ha cominciato a discutere il modo per togliere alla casta il suo privilegio più emblematico, quell’assegno mensile per l’eternità che non solo accompagna l’ex rappresentante del popolo alla fine del suo mandato, ma viene trasferito agli eredi (la cosiddetta reversibilità) quando passa a miglior vita. Eppure è andata proprio così a Palazzo Ferro Fini, dove si è riunito per la prima volta il gruppo di lavoro della Commissione Bilancio del consiglio regionale veneto istituito per tagliare vitalizi e prebende.
E pensare che una decina di giorni fa sembrava, da pubbliche dichiarazioni, che la giunta fosse favorevole all’eliminazione di una voce di uscita che raggiunge i 13 milioni di euro l’anno. “Sono d’accordissimo, ho presentato una proposta di legge per eliminare i vitalizi”, aveva detto il governatore Luca Zaia durante il dibattito sul referendum per l’indipendenza del Veneto, per rassicurare i Cinque stelle che volevano far votare un ordine del giorno che impegnasse la giunta ad accelerare l’iter di esame dei progetti di legge giacenti. Così da finanziare con i 13 milioni risparmiati i costi della consultazione popolare. Il documento era stato stoppato dal presidente Roberto Ciambetti (“Inammissibile, il presidente della giunta non può influenzare, né spingere i lavori dell’aula”), ma il giorno dopo la macchina della riforma si era, apparentemente, messa in moto. La Prima Commissione aveva fatto quello che non era riuscita a fare in quasi due anni di legislatura, tirar fuori dal cimitero delle incompiute legislative le proposte in materia di vitalizi.
“Un piccolo risultato – aveva commentato il capogruppo M5S Jacopo Berti, alla vigilia dell’incontro che si è tenuto il 3 marzo – ma vogliamo vedere come si schiereranno i partiti di fronte alla nostra proposta”. Dieci giorni dopo l’illusione si è già sciolta. Il gruppo di lavoro si è riunito. Il presidente leghista Marino Finozzi ha raccomandato tutti a mantenere la segretezza sui lavori, poi ha distribuito schede informative per far capire lo stato dell’arte nelle altre regioni italiane. Quindi i consiglieri (uno per gruppo) hanno cominciato a discutere. E qui è cascato l’asino. La maggioranza di centrodestra ha fatto capire che i vitalizi non si toccano, al massimo si può decidere di tagliare rimborsi spese e diarie, quindi i costi della politica attiva. Ma di eliminare quelli che derivano dal passato non se ne parla. A quel punto sono uscite parole affilate per anestetizzare i disegni di legge che vorrebbero un intervento drastico. “E’ soltanto demagogia” ha detto uno dei consiglieri più anziani. E un altro: “Quella dei vitalizi è solo fuffa mediatica”. Non ci vuole un genio per capire che il riferimento è mirato al Movimento Cinquestelle che dell’abolizione dei vitalizi ha fatto una bandiera.
La giustificazione addotta sarebbe tecnica: l’impossibilità che una legge regionale possa cancellare gli assegni che mensilmente arrivano sui conti correnti di 245 tra ex consiglieri ed ex assessori. “Se l’approviamo verrebbe subito impugnata”, ha sostenuto il gruppo che punta a lasciare com’è l’esistente. E così rischiano di finire su un binario morto tre proposte di legge. In primo luogo quella costituzionale di Zaia stesso, che la presentò con il numero 1 della legislatura, il 29 giugno 2015 (“Abolizione dei vitalizi e adesione al sistema contributivo dei consiglieri regionali e dei parlamentari”), ma che va sottoposta al Parlamento ed è destinata comunque a non vedere mai la luce. “Anti casta: abolizione vitalizi ed assegno fine mandato” è invece la proposta numero 77 dei Cinquestelle Jacopo Berti, Erika Baldin, Patrizia Bartelle, Manuel Brusco e Simone Scarabel. Prevede di togliere vitalizi e assegno di fine mandato. “Il risparmio preventivo per la legislatura corrente si potrà attestare a euro 82.550.000, con un risparmio del 77% rispetto al sistema vigente” hanno scritto nel 2015 i proponenti. “E’ un doveroso segnale di normalizzazione di una classe politica che da anni ha completamente perso ogni contatto con la società civile e si è arrogata diritti e privilegi che non hanno pari in nessuna realtà privata”. La terza è una proposta salvata dalla precedente legislatura e promossa da “Zero privilegi”.
Eppure i vitalizi sembrano tutt’altro che “fuffa”. Anche da un punto di vista etico-politico. Ne beneficiano, infatti, 245 persone, tra cui una decina di protagonisti di scandali, corruzioni e processi. Nell’elenco troviamo, innanzitutto, l’ex governatore Giancarlo Galan di Forza Italia, che però finora non ha incassato nulla, perché il vitalizio parlamentare è bloccato dalla legge Severino (erogazione vietata ai condannati per corruzione) e quello della Regione dal luglio 2015 per un sequestro preventivo ottenuto dalla Corte dei Conti che ha condannato Galan a risarcire 5,8 milioni di euro. Troviamo anche Renato Chisso, assessore regionale per varie legislature. Entrambi sono stati arrestati per lo scandalo Mose, hanno patteggiato la pena (due anni 10 mesi Galan, due anni e 6 mesi Chisso) e ora sono liberi.
Ma c’è anche un imputato in attesa di giudizio per finanziamento illecito dei partiti (soldi ricevuti da Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova) come Lia Sartori, ex socialista, già assessore regionale, poi per 15 anni europarlamentare del Pdl. Il vitalizio è rimasto sospeso mentre era a Bruxelles (dal 1999 al 2014), poi erogato dal 2015, per un importo di 3.890,34 euro al mese. In casa Pd percepisce 2.997,02 euro Giampietro Marchese, coinvolto a sua volta nell’inchiesta sullo scandalo Mose, dove ha patteggiato 11 mesi e ha pagato 20 mila euro di risarcimento.
Tra i beneficiari dei vitalizi c’è anche un manipolo di vecchie conoscenze della Prima Repubblica, che vennero travolte dalle inchieste all’epoca di Tangentopoli, ormai venticinque anni fa. Nonostante le condanne hanno continuato a incassare sui 4mila euro al mese, 50mila euro netti all’anno. In totale fa circa 1 milione di euro ciascuno.