Politica

Luigi De Magistris e Matteo Renzi, tribuni della plebe per stolti

Complimenti, sindaco De Magistris! Ci vuole davvero una notevole abilità per trasformare il trucido Matteo Salvini in vittima con cui solidarizzare. Sia chiaro: il cosa dice e il come si atteggia l’attuale leader della Lega, nella sua transizione opportunistica dal bossismo al lepenismo, fanno bollire il sangue a qualunque persona mediamente civile e onestamente democratica. Ma non è questo il punto, dato che fondamento della civiltà democratica è la tutela dell’altrui espressione, qualunque essa sia. Se non assume il profilo del reato. E propagandare l’uscita dall’euro o la più bieca xenofobia (finché resta espressione verbale) tali ancora non sono.

Piuttosto diventa politicamente indifendibile chi vuole impedire tale libertà con metodi intimidatori – come ha fatto nei giorni scorsi il sindaco di Napoli – arrivando a proibire la riunione leghista al chiuso della Mostra d’Oltremare (poi autorizzata dal prefetto). Soprattutto chi si assume la responsabilità morale – in perfetto stile Masaniello 2.0 – di giustificare l’insorgenza teppistica che ha messo a ferro e fuoco interi quartieri partenopei, ieri.

Ancora una volta Luigi De Magistris si conferma prodotto tipico di questa epoca, in cui un belloccio sufficientemente mediatico tende a occupare la scena pubblica vellicando i bassi istinti del corpo elettorale; fungendo da megafono di tesi che erroneamente definiamo “populistiche”, quando sono semplicemente demagogia della più bell’acqua. Gente a cui piace “vincere facile” nella partita per accaparrarsi il consenso popolare. Il tutto teatralizzato nella rivisitazione del ruolo da tribuno della plebe per gonzi.

Sembrerà strano, eppure c’è un filo di sintonia epocale tra la messinscena del “dieci anni dopo” al Lingotto torinese e il caudillismo del primo cittadino napoletano: la politica trasformata nel set da reality, in cui Matteo Renzi recita la parte dell’uomo del popolo in lotta contro le resistenze conservatrici dell’establishment, mentre l’ex magistrato star si mette alla testa del proprio popolo per difenderne l’onore vilipeso dal bulletto padano. Intanto, nonostante il prodigarsi gigionesco dei protagonisti, l’allestimento spettacolare evidenzia crepe ormai non più occultabili.

L’ex premier, in attesa di ritornare ancora una volta nella stanza dei bottoni, stenta a rinnovare la narrazione che già lo fece incappare nella batosta del 4 dicembre: il plot illusionisticamente truffaldino nel tratteggio di scenari consolatori per il prossimo futuro, vissuto come intollerabile provocazione da parte di chi subisce quotidianamente sulla propria pelle le scudisciate di una crisi inarrestabile; De Magistris, sempre più circoscritto in una dimensione comunale presidiata con effetti speciali che mostrano la corda, a fronte dei concreti problemi amministrativi irrisolti e la cessione di vaste aree del territorio alla criminalità organizzata. Tanto per dire, il primo cittadino napoletano può inalberare la maschera del duro tutore/promotore di una napoletanità virtuosa, quando, invece di cercare la rissa con l’orrido Salvini, avrebbe potuto esprimersi severamente sull’attacco all’idea stessa di civismo, di napoletanità virtuosa, rappresentata dal personale medico e paramedico dell’ospedale Loreto al Mare che timbrava il cartellino e poi se ne andava a spasso. Magari a giocare a tennis. Come hanno rivelato le indagini della magistratura. Con il sospetto che si tratti soltanto della punta dell’ennesimo iceberg. Su cui Masaniello De Magistris preferisce glissare. Alla faccia di chi ne prospettava futuri politici nazionali.

Sicché la sommessa opinione del vostro blogger resta sempre la stessa: sarebbe auspicabile che i magistrati, come i giornalisti (e i religiosi), si astenessero dall’impegnarsi direttamente nell’arena politica. Proprio in coerenza con le loro missioni al servizio della legalità e dell’informazione (nonché del magistero di fede) che rendono incompatibile qualsivoglia collusione con il potere.