Il "Withdrawal Bill" aveva ricevuto il primo via libera lo scorso 8 febbraio senza modifiche, con 494 voti a favore e 122 contrari; nel passaggio alla Camera dei Lord, però, erano stati aggiunti i due emendamenti oggi bocciati. Intanto La leader scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato l’avvio la settima prossima della procedura per una consultazione bis sull'indipendenza dalla Gran Bretagna. E il Sinn Fein pensa alla riunificazione dell'Irlanda
Il Parlamento britannico ha detto sì alla Brexit. Il primo ministro Theresa May ha chiuso la sua partita a Westminster, dopo un mesetto di dibattito e di ping pong fra Camera Bassa e Camera Alta che in sostanza non ha cambiato nulla. E porta a casa una legge – ripristinata dalla maggioranza ai Comuni nel testo gradito all’esecutivo, con l’abrogazione degli emendamenti dei Lord sulle garanzie a priori dei diritti dei cittadini Ue e su una sorta potere di veto del parlamento sull’esito del negoziato – che le permette d’avviare senza vincoli di sorta il percorso formale per l’addio al club dai 28 entro due anni (salvo proroghe). In nottata anche i Lord si sono allineati e da oggi ogni momento sarà buono per far scattare i negoziati notificando l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Le previsioni sono per l’ultima settimana di marzo, in tempo per la scadenza indicata con largo anticipo e tono perentorio dalla signora primo ministro di Sua Maestà: ancora una dama inglese di ferro nel destino di Bruxelles, sulle orme di Margaret Thatcher.
Il primo emendamento bocciato, che risale al 1° marzo, chiedeva delle garanzie sui diritti dei cittadini europei e dei loro familiari residenti in territorio britannico anche dopo l’addio alla Ue; il secondo invece, la cui approvazione da parte dei Lord risale al 7 marzo, prevedeva di dare al Parlamento il potere di porre il veto al futuro accordo sulla Brexit dopo i negoziati. Il Withdrawal Bill aveva ricevuto il primo via libera dalla Camera dei Comuni lo scorso 8 febbraio senza modifiche, con 494 voti a favore e 122 contrari; nel passaggio alla Camera alta, però, erano state aggiunte le due proposte di modifica.
Bruxelles: “Siamo pronti alla Brexit” – A Bruxelles “siamo pronti” per lo scattare dell’articolo 50, ha assicurato il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas. Le prossime tappe procedurali sono già definite: prima verranno adottate delle “linee guida politiche” da parte del Consiglio europeo, in un vertice ad hoc che convocherà il presidente Donald Tusk. In seguito la Commissione Ue presenterà “immediatamente” una raccomandazione per aprire i negoziati con Londra, che a sua volta dovranno approvare i 27. Una volta ottenuto il mandato dal Consiglio, il caponegoziatore della Commissione Ue Michel Barnier potrà dare l’avvio vero e proprio ai negoziati.
Scozia, Sturgeon: “Via a iter per referendum su uscita da Uk” – Mentre Londra attende di superare l’ultimo scoglio per recidere i legami con Bruxelles, Edimburgo prepara la contromossa. La leader scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato l’avvio la settima prossima dell’iter nel Parlamento locale per arrivare ad un referendum bis sull’indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna. Londra, come preannunciato, risponde picche. In una nota, il governo afferma che un tale voto causerebbe incertezza e ricorda che la secessione fu respinta nella consultazione del 2014 e che la stessa leadership quel voto “unico in una generazione”.
La first minister ha indicato una finestra utile, fra l’autunno del 2018 e la primavera del 2019, durante la quale si potrebbe tenere il nuovo referendum. L’iter prevede che la leader scozzese chieda all’assemblea di Edimburgo di rivolgersi al Parlamento di Westminster (al quale spetta l’ultima parola) e quindi domandare il permesso per una nuova consultazione popolare, dopo quella del 2014 vinta dagli unionisti, in quanto “sono mutate le circostanze” rispetto ad allora con la Brexit.
Sturgeon nel suo intervento ha sottolineato che la decisione è inevitabile a fronte del “muro di intransigenza” che il governo di Londra ha eretto contro le istanze presentate da Edimburgo che aveva proposto una serie di soluzioni per mantenere la Scozia all’interno del mercato unico europeo. “Non è stato possibile fare altro mentre si prospetta una hard Brexit”, ha sottolineato il primo ministro, aggiungendo che la Scozia deve “scegliere per il suo futuro” prima che sia troppo tardi.
E il Sinn Fein pensa a riunificazione dell’Irlanda
Anche i repubblicani nordirlandesi dello Sinn Fein, contrari come gli indipendentisti scozzesi alla Brexit, mordono a loro volta il freno sulla scia della richiesta di un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia lanciata dalla first minister di Edimburgo. E per bocca di un’altra donna, Michelle O’Neill, rilanciano la propria storica sfida per un voto anche “sui confini” dell’Irlanda del Nord: vale a dire su un’ipotetica riunificazione con Dublino. Il governo britannico è sul punto di portare l’Irlanda del Nord fuori dall’Europa “contro la volontà del popolo”. L’uscita dalla Gran Bretagna dalla Ue “minerebbe in modo significativo l’Accordo del Venerdì santo e porterebbe all’imposizione di un confine più netto con l’Irlanda”, ha aggiunto ancora O’Neill riferendosi all’accordo di pace del 1998 per la divisione del potere in Irlanda del Nord dove, nel referendum dello scorso 23 giugno, il 56% della popolazione ha votato per rimanere nella Ue. “La Brexit sarebbe un disastro per l’Irlanda, del nord e del Sud – aggiunto – avrebbe un impatto negativo sulla nostra economia, sulle nostre comunità. Tutto questo – ha concluso – aumenta l’urgenza di un referendum per l’unità dell’Irlanda, come viene previsto dall’Accordo del Venerdì Santo, e che il Sinn Fein vuole vedere realizzarsi al più presto possibile”.