Andrea Pavesi e Giulia Adriani sono partiti per la città del sud est asiatico. Lavorano nel centro di ricerca all'estero del Mit di Boston. “Qui i professori universitari hanno contratti rinnovabili in base alle performance. In Italia, invece, in molti casi non importa quello che fai ma quanto sei restato in fila, visto che spesso ci sono promozioni legate solo a un fattore di anzianità”
“La mia scelta è stata quella di seguire una passione, la ricerca. Per farlo, ho sempre cercato di essere nel posto giusto al momento giusto”. Essere ricercatore, secondo Andrea Pavesi, significa scegliere non tanto dove vivere ma dove ci sono buoni finanziamenti per il proprio ambito di studi. “Non ero uno studente modello da 30 e lode e la passione per la ricerca l’ho scoperta durante la tesi”. Uno slancio che l’ha portato in pochi anni ad essere ricercatore per conto del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e a decidere, cinque anni fa, di trasferirsi a Singapore dove il MIT ha aperto il suo unico centro ricerca all’estero.
“Sarei riuscito a raggiungere gli stessi obiettivi restando in Italia? No, quando ero in Italia il problema principale era il budget, la scarsità di fondi che tutti sappiamo non essere una delle priorità in Italia”. Nella città-stato del sud est asiatico, invece, sono stati messi sul banco per i prossimi 5 anni 19 miliardi di dollari destinati proprio alla ricerca. Eppure, non vuole essere polemico verso il suo paese. “Un giovane ricercatore italiano deve essere pronto a seguire le sue passioni indipendentemente dalla posizione geografica”. Tanto che, dopo una laurea in Ingegneria biomedica al Politecnico di Milano e un anno trascorso come dottorando in visita al MIT di Boston, il 33enne di Mantova non ha avuto esitazioni a trasferirsi.
A fare la valigia, insieme a lui, quella che sarebbe diventata presto sua moglie, Giulia Adriani. Entrambi ricercatori, insieme nell’esperienza del MIT di Boston e ora squadra di lavoro al centro di ricerca di Singapore. Nel laboratorio la coppia si occupa di bioengineering e in particolare di tecnologie per la cura e la comprensione di patologie e fenomeni cellulari. “Detta in modo semplice ricostruisco e modellizzo il microambiente di diverse tipologie tumorali per testare farmaci”. Un’ambiente, quello di Singapore, che per Andrea è vibrante e motivante. “Le università e i centri di ricerca sono in crescita, mentre ciò che trovi e crei in laboratorio deve possibilmente essere qualcosa di commercializzabile e utile”. Miglioramenti anche per quanto riguarda lo stipendio, visto che un ricercatore alle prime armi, a Singapore, guadagna più di un professore ordinario in Italia.
Italia, per Andrea, significa la nostalgia della fine delle vacanze estive o natalizie: “I parenti, gli amici, una bella giornata trascorsa al mare e ti chiedi: ‘Ma chi me lo fa fare a stare così lontano?’”. Eppure, pensando al panorama accademico italiano lo spaventa “la mancanza di meritocrazia”. A Singapore “anche i professori universitari hanno contratti di tre o cinque anni, rinnovabili in funzione della performance”. Un sistema che ti porta a “rivisitare il concetto di precarietà” perché permette di legare la carriera ai risultati raggiunti. “In Italia, invece, in molti casi non importa quello che fai ma quanto sei restato in fila, visto che spesso ci sono promozioni legate solo a un fattore di anzianità”.
“L’Italia ha delle potenzialità incredibili nel campo della ricerca, dell’innovazione e della tecnologia, basterebbe poco per diventare punto di riferimento per molti paesi”. Questa stessa frase di Andrea devono pensarla anche gli altri numerosi ricercatori italiani che il 33enne di Mantova ha incontrato a Boston e a Singapore. Eppure, il problema resta sempre che, all’ottima formazione, non sempre segue una prospettiva lavorativa. “Pochi posti e molti accademici che rimangono a lungo, forse troppo”. Una realtà da cui Andrea e Giulia sono ormai lontani migliaia di chilometri. Tra le loro braccia, anche la loro bambina di meno di un anno.
“Ci chiediamo spesso come sarà crescere nostra figlia a Singapore. Certo, ci piacerebbe che potesse rivivere tanti momenti simili alla nostra infanzia ma probabilmente questo non sarebbe possibile anche nel caso di un eventuale rientro”. Quanto meno, “il vantaggio di farla studiare a Singapore sarà che imparerà il cinese mandarino”. Difficile, infatti, pensare a un ritorno in Italia quando “non si ha nulla di pianificato”. “Per ora fantastichiamo la nostra vecchiaia in barca a vela, navigando di porto in porto fra Mediterraneo, Atlantico e Pacifico”. Nei loro sogni, sarà un viaggio che li farà muovere inseguendo la brezza dei cambi stagionali. Ma intanto, la coppia di ricercatori italiani si deve accontentare della perenne estate del sud est asiatico.