di Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia
Il 25 marzo 2017 ricorre il sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, fondatore dell’Unione europea, allora Comunità economica europea. Nel corso degli ultimi cinquant’anni la nascita e lo sviluppo dell’Unione europea hanno reso più facile la vita dei cittadini europei abolendo tutta una serie di limitazioni, con qualche problema che comunque è sorto.
Una delle pietre militari dell’Ue è stata l’unione doganale, completata nel 1968, che ha abolito i dazi doganali alle frontiere interne, creando un sistema uniforme di imposizione sulle importazioni. Le dogane sono scomparse nel 1993. Attualmente i doganieri si trovano soltanto ai confini esterni dell’Ue. Secondo i calcoli l’apertura delle frontiere ha ridotto i costi operativi del 15%. La maggior parte delle barriere (fisiche, procedurali, burocratiche e commerciali) che tendeva a confinare i cittadini, i beni e il denaro dietro le mura delle frontiere nazionali è stata parimenti eliminata. Secondo la commissione, dal 1993, il mercato unico ha creato 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro e in termini di nuova prosperità ha generato oltre 800 miliardi di euro.
Inoltre l’abolizione delle restrizioni nazionali ha consentito a oltre 15 milioni di europei di lavorare o di andare in pensione in un altro paese dell’Ue. Con la rimozione degli ostacoli e l’apertura dei mercati nazionali, un maggior numero di imprese può competere sul mercato. Ne conseguono prezzi più bassi, nonché una scelta più ampia di beni e servizi. Dal punto di vista lavorativo, l’Ue si è impegnata a garantire condizioni di lavoro soddisfacenti e a tutelare i diritti dei lavoratori, stabilendo norme minime relative alle condizioni di lavoro, salute e sicurezza.
Le regole comuni stabiliscono i criteri di base per la protezione dei lavoratori contro determinati rischi per la salute, i diritti fondamentali per l’orario di lavoro, le informazioni che i datori di lavoro sono tenuti a fornire ai lavoratori sulle loro condizioni di lavoro e assunzione, i licenziamenti collettivi, l’uguaglianza di trattamento tra lavoratori part-time e lavoratori a tempo pieno.
L’entrata nell’Ue ha dato inoltre la possibilità di lavorare un altro Paese europeo, con il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali. Anche nell’ambito della sanità, l’unione europea, si è prefissata degli obiettivi da raggiungere tra i quali l’eliminazione delle principali disuguaglianze, a livello sanitario, la protezione dei cittadini dai rischi sanitari, la fornitura di informazioni ed analisi relative alla salute, la spinta a ridurre l’incidenza delle malattie gravi.
L’Unione europea, avendo adottato un mercato unico, deve garantire la sicurezza dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati che sono in vendita. E’ stata inoltre introdotta, il 1° giugno 2004, la tessera sanitaria europea con la quale, ogni cittadino europeo ha il diritto alle cure mediche sia che sia in vacanza o abbia bisogno di cure specifiche che il suo stato non gli può fornire. Nonostante gli enormi vantaggi che ha apportato a tutti gli Stati membri, l’Unione Europea, ha generato anche alcuni aspetti negativi, specialmente economici.
L’Europa ha un costo, che ammonta annualmente a circa 150 miliardi e viene coperto dai contributi degli Stati aderenti in proporzione al proprio Pil.
La destinazione di tali fondi è la seguente:
E l’Italia, come tutte le maggiori economia europee, è un contributore netto dell’Unione, ritrae cioè meno fondi di quanti ne versa (dati 2007/2013).
Per quanto riguarda il settore agricolo da 50 anni è in vigore la Pac (politica agricola comune) che ha lo scopo di garantire agli agricoltori un congruo tenore di vita e ai consumatori alimenti di qualità a prezzi equi. Esordì sovvenzionando la produzione di derrate alimentari di base, nell’intento di raggiungere l’autosufficienza. La Pac odierna, invece, privilegia un sistema di pagamenti diretti agli agricoltori, considerato il miglior modo per garantire i redditi agricoli, la sicurezza e la qualità degli alimenti e una produzione ecologicamente sensibile, ma il sistema spesso produce distorsioni sui prezzi di mercato tali da rendere quasi insufficiente il reddito agricolo.
Un altro svantaggio riguarda le difficoltà nei processi decisionali degli organi comunitari. L’impostazione dell’Ue è stata pensata con un numero ristretto di Paesi membri, ma ora che il numero è sensibilmente cresciuto, si impone l’accettazione di un grado maggiore di rinuncia alla sovranità nazionale, con l’eliminazione totale del principio dell’unanimità. Le critiche all’Unione si basano in parte sull’euro e sulla rigidità economica, che anche secondo diversi osservatori, favorirebbe il principale paese esportatore: la Germania.
Lasciando perdere l’ultimo decennio o forse quindicennio, se l’Italia avesse però avuto una gestione meno disinvolta del proprio bilancio, negli anni Ottanta e Novanta (meno spesa pubblica, meno sprechi, meno corruzione, più efficienza e giustizia sociale), probabilmente oggi sarebbe un Paese leader e gli svantaggi per noi sarebbero inferiori. Non intendiamo in questa sede, intenzionalmente, intraprendere anche l’analisi dell’euro e delle sue dinamiche, che esulano dai temi della nostra analisi.