Dopo l'articolo del 26 febbraio de ilfattoquotidiano.it sul progetto della società Portosalvodue impegnata a cementificare le dune nell'area ad alto valore ambientale, il legale della famiglia ha inviato una smentita. Ma dalla visura camerale risulta che è coinvolta tutta la famiglia al completo, comprese le mogli
Chi è che cola cemento sulle dune delle spiagge del commissario Montalbano, a Punta Religione di Marina di Modica, in una zona considerata dalla Comunità Europea sito di interesse comunitario? I Minardo, indicati da ilfattoquotidiano.it come i costruttori dell’opera con la società Portosalvodue in un articolo pubblicato il 26 febbraio, hanno fatto inviare una smentita da un legale, l’avvocato Fabio Borrometi di Modica, in cui affermano “la loro totale estraneità” dalla vicenda. Ma la smentita non dice il vero. Da una visura camerale presso l’Archivio della Camera di Commercio di Ragusa risulta che nella società Portosalvodue impegnata a cementificare le dune in quell’area di alto valore ambientale, c’è tutta la famiglia Minardo al completo, comprese le mogli. Manca solo un componente, Riccardo.
I Minardo più in vista sono quattro. Ci sono Rosario, detto Saro, il capostipite, conosciuto come il «petroliere» perché ha fatto una fortuna con i carburanti; il fratello Riccardo, in passato senatore e deputato di Forza Italia; i due figli di Saro: Raimondo che si occupa di petrolio come il padre e Antonino detto Nino che invece ha seguito le orme dello zio ed è stato eletto deputato nelle liste del Popolo delle Libertà. I Minardo sono una famiglia conosciuta e potente, molto legata, per esempio, a Mario Ciancio Sanfilippo, l’editore de la Sicilia, il giornale più venduto nell’isola, e a loro volta sono editori con la tv Video Regione che ha la sede e gli studi proprio accanto alla villa di famiglia a Modica nella frazione Serrauccelli Quartarella a Cava Gucciardo. Tra le cento cose di cui i Minardo si occupano ci sono anche le costruzioni e con le ditte di famiglia stanno edificando sulle dune di Punta Religione una reception, un ristorante, un bar, un rimessaggio per canoe collegati con un tunnel a un residence a 4 stelle.
La ragione sociale della Portosalvodue, società a responsabilità limitata, è proprio quella di «costruire e/o gestire camping, villaggi turistici, alberghi, stabilimenti balneari». La società è stata costituita a luglio di 14 anni fa e ha un capitale sociale di 100mila euro. La proprietà è quasi per intero della famiglia Minardo ed è così ripartita: Antonino (Nino), Raimondo e Rosario (Saro) Minardo, cioè i due figli e il padre hanno il 20 per cento ciascuno. Un altro 20 per cento è in mano a Concetta Noto, moglie del capostipite Saro. Mentre la moglie del deputato Nino, Giulia Di Martino, ha il 5 per cento. In una nota del 28 dicembre 2016 la Regione Sicilia fa riferimento a una società che si chiama Portosalvo, definita «ex Portosalvodue», come azienda che si occupa dell’affare dune a Punta Religione, ma la sostanza non cambia. Anche la Portosalvo, che formalmente è dedita alla coltivazione di cereali, è dei Minardo attraverso la finanziaria Filgest (600 mila euro di capitale) posseduta al 30,67 per cento da Saro che è l’amministratore unico, mentre la moglie Concetta Noto ha il 23,33, e i figli Raimondo e Nino il 23 per cento ciascuno.
La Portosalvodue ha ottenuto tutti i permessi necessari per la costruzione del complesso di Punta Religione senza usufruire di una variante al piano regolatore, e in questo la rettifica dei Minardo è esatta. Ma l’iter della lunghissima vicenda del cemento sulle dune è tortuoso e sorprendente. Undici anni fa i senatori Giovanni Battaglia dell’Ulivo e Anna Donati dei Verdi la ricapitolarono in un’interrogazione in cui si informava tra l’altro che il 20 novembre 2003 la Soprintendenza di Ragusa aveva ritenuto il «progetto incompatibile con l’esigenza di proteggere un ambiente singolare». A ottobre di un anno dopo, colpo di scena, la stessa Soprintendenza di Ragusa smentiva se stessa rilasciando l’autorizzazione. A tambur battente anche lo Sportello unico delle attività produttive (Suap) del Comune di Modica cambiava idea concedendo a sua volta l’autorizzazione che appena quattro mesi prima aveva negato.
Contro quello che considerano uno sfregio si sono mobilitati i circoli di Ragusa e Modica di Legambiente e altre associazoni locali, sostenendo che il cemento danneggia non solo le dune, ma equivale a una specie di esproprio della spiaggia pubblica. In un esposto inviato alla Regione e al comune di Modica Legambiente segnala che le opere in costruzione sulle dune vanno al di là dei limiti previsti dai permessi. Nella rettifica i Minardo contestano questa affermazione. Il loro avvocato al telefono con ilfattoquotidiano.it specifica che i suoi assistiti sono «una famiglia di imprenditori che investono nel territorio nel pieno rispetto della normativa creando occupazione”.