Chissà dove guarderà il Pd. Un po’ a destra come forse vuol fare Renzi? O un po’ a sinistra come forse vuol fare Orlando? O un po’ in giro, Cinquestelle compresi, come forse vuol fare Emiliano? Una cosa è certa: è del tutto inutile saperlo. E’ inutile fare calcoli: combinazioni, sondaggi aggiornati, variazioni da settimana a settimana, meno zero cinque a questo, più zero sette a quello, M5s primo e Pd secondo o viceversa, il centrodestra diviso ma che unito vince. Tutto questo infatti è inutile perché con i risultati che si ripetono nelle rilevazioni di tutti gli istituti da mesi, l’unico elemento certo è che in Parlamento non ci sarebbe una maggioranza. Nessuna delle alleanze, anche quelle più fantasiose, produrrebbe il sostegno a un governo. L’ultima conferma arriva dall’istituto Emg che per il TgLa7 ha più volte indagato questi scenari. Come la scorsa settimana l’unica chance di una maggioranza – peraltro risicatissima – dei cosiddetti “anti-sistema”, cioè Movimento Cinque Stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia. Naturalmente siamo al limite del racconto fantasy: in Parlamento si trovano spesso su simili posizioni di opposizione, ma resta la regola aurea del M5s di non allearsi con altri partiti e dall’altra parte Matteo Salvini e Giorgia Meloni ne dicono di ogni dei Cinquestelle. Ad ogni modo M5s, Lega e Fdi insieme – secondo le elaborazioni di Emg – metterebbero insieme 318 seggi, due in più della maggioranza necessaria per la fiducia alla Camera.
Tutte le altre combinazioni darebbero un totale di seggi ben lontano da quota 316. Prendiamo l’alleanza più frequente in caso di “pareggi” alle elezioni, cioè le larghe intese. Se il Pd si unisse a Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Autonomie non si supererebbe la soglia dei 277 seggi. Se a questi si aggiungessero anche i Democratici e progressisti – che peraltro hanno motivato la scissione dal Pd anche sulle alleanze “imbarazzanti” con Ala per esempio – si arriverebbe a fatica a 305 seggi e appare difficile pescare una ulteriore dozzina di voti in giro per Montecitorio.
Non avrebbero speranza, come si vede facilmente dalle tabelle, le altre coalizioni: centrosinistra unito con i gruppi delle Autonomie (in pratica la maggioranza che governa oggi) e men che meno il centrodestra “puro”, cioè Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia insieme (oggi esprimerebbero la “miseria” di 200 seggi).
Uno dei motivi per cui la maggioranza che sostiene oggi Paolo Gentiloni (e che prima ha sostenuto Enrico Letta e Matteo Renzi) non esiste più è che è scomparso dai radar il Nuovo Centrodestra che da 26 deputati passa a zero, non riuscendo ad arrivare alla soglia di sbarramento del 3 percento. Peraltro va ricordato che Angelino Alfano ha annunciato nei giorni scorsi lo scioglimento del partito per fare un altro movimento non si sa bene con chi.
Pd staccato di 3 punti dal M5s, quarto ribasso in un mese
Tornando ai voti di lista la notizia non è più tanto che i Cinquestelle sono oggi il primo partito con il 30 per cento e un nuovo incremento dello 0,9 in una settimana (1,6 in 15 giorni), ma la crisi profonda del Partito Democratico che non solo è staccato di 3 punti dal M5s, ma registra il quarto ribasso in un mese, dal 30,8 al 27 scarso, quindi quasi 4 punti. Un periodo che ha seguito il giorno della scissione da parte degli esponenti che hanno poi fondato il Movimento Democratici e Progressisti. Certo, il Pd paga la scissione visto che Mdp è stimato al 4,2, il Campo Progressista di Giuliano Pisapia è all’1 netto e Sinistra Italiana – pur con un risultato misero – è all’1,4. Questo significa che – almeno a livello aritmetico – l’area a sinistra del Pd raccoglierebbe quasi il 7 per cento.
Infine resta il solito ragionamento sul centrodestra che unito è ai livelli dei Cinquestelle, cioè intorno al 30 per cento. Tra i tre partiti c’è anche in questa settimana un continuo travaso di voti, come se non ci fosse un flusso in uscita da quell’area politica. Resta che Matteo Salvini – che arrivava da giorni di grande visibilità con il fatto di cronaca di Lodi e poi gli scontri per il dibattito di Napoli – non porta granché al suo partito, anzi: in una settimana il Carroccio perde dello 0,4 per cento.
La crisi del Pd, per Tecnè ha perso 6 punti in un mese
Ma a rimarcare quanto sia profonda la crisi del Partito Democratico ci sono anche gli altri sondaggi diffusi lunedì durante Porta a Porta, condotti da Euromedia Research (cioè Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia di Berlusconi) e da Tecnè. Il Pd secondo Euromedia è al 25,5 e in un mese ha pagato il 3 per cento. Mentre secondo Tecnè i democratici hanno lasciato sul campo in un mese la bellezza di 6 punti percentuali, toccando il fondo del 23 per cento, ben sotto il 29 della “non vittoria” di Pierluigi Bersani nel 2013. Tutto questo accade al Pd, mentre le altre forze politiche non hanno sbalzi così marcati, ad eccezione di Sinistra Italiana (che secondo Tecnè perde il 2 in un mese) e lo stesso M5s che nel corso dell’ultimo mese secondo entrambi gli istituti ha perso tra un punto e il mezzo punto.
Le primarie: Renzi (per ora) sicuro
Tecnè e Euromedia hanno misurato anche i rapporti di forza tra i tre candidati alla segreteria del Pd. Renzi sembra avere ancora un ampio margine sui suoi avversari, ma quel margine si fa meno ampio rispetto a un’altra quota che deve tenere d’occhio. L’ex segretario, infatti, deve superare il 50 per cento alle primarie per essere incoronato subito leader. In caso contrario a eleggere il nuovo segretario sarà l’assemblea dei delegati e sulle dinamiche politiche potrebbero verificarsi delle sorprese. Come si vede, ad ogni modo, il primo inseguitore di Renzi è il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Secondo quanto spiegano da Tecnè a votare Emiliano e Orlando sono anche gli elettori di partiti a sinistra del Pd che cercano di far cambiare linea al partito principale del centrosinistra.