Se dici “arte astratta” in una stanza piena zeppa di persone c’è da scommettere che la stragrande maggioranza avrà subito in testa un nome, quello di Vassily Kandinsky (Vasilij Vasil’evič Kandinskij). E il fatto che forse sia stato un altro a realizzare i primi dipinti non ancorati alla necessità di ricalcare il reale (il lituano Konstantinas Ciurlionis), poco importa: è Kandinsky, per tutti, il primo esponente del movimento astrattista.
Kandinsky il russo, Kandinsky il musicista che da ragazzo imparò a suonare pianoforte e violoncello senza trovarci l’espressione perfetta del proprio talento, Kandinsky l’appassionato d’arte che si innamorò delle opere dell’impressionista Monet, Kandinsky che non rinunciò mai all’idea di un’affinità elettiva tra la musica e i colori. Perché i colori, scrive lo stesso Vassily, emettono suoni: il giallo “un suono paragonabile a quello di una tromba acuta, suonata sempre più forte, l’azzurro assomiglia a un flauto, il blu a un violoncello o, quando diventa molto scuro, al suono meraviglioso del contrabbasso; nella sua dimensione più scura e solenne ha il suono profondo di un organo, il rosso ricorda il suono delle fanfare con la tuba: forte, ostinato, assordante. E se l’arancione richiama le campane di una chiesa o il suono di una viola, il verde, colore della quiete, ha la sonorità del violino nel registro medio. Il bianco è silenzio, ma non il silenzio definitivo di morte del nero, bensì la pausa musicale, un istante di sospensione che precede un nuovo sviluppo della melodia”.
Come dire che se guardi le incisioni ispirate alle fiabe, i lubki raffiguranti cavalieri combattenti, gli uccelli del paradiso o i giocattoli e gli oggetti decorati con il tema pervasivo del cavallo puoi percepire una melodia. A Milano, precisamente al Mudec, è possibile mettere alla prova l’incantesimo di Kandinsky: guardare un quadro e perdercisi dentro al punto da sentirne la musica. “Mi sembrava – scrive ancora Vassily – che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita. Sentivo a volte il chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano; era un’esperienza simile a quella che si sarebbe potuta fare nella misteriosa cucina di un alchimista”.
Dal 15 marzo il pittore russo è in mostra al Museo delle Culture: 49 sue opere che raccontano il “periodo del genio” che porta alla svolta completa verso l’astrazione, e 85 tra icone, stampe popolari ed esempi di arte decorativa. Le opere, alcune delle quali mai viste prima in Italia, provengono dai più importanti musei russi, come l’Ermitage di San Pietroburgo, la Galleria Tret’jakov, il Museo di Belle Arti A.S. Puškin. Un’esposizione che guarda al periodo della formazione dell’immaginario visivo dell’artista, profondamente radicato nella tradizione russa, e al suo percorso di svolta ormai già compiuta verso l’astrazione, dall’ultimo Ottocento fino al 1921, quando si trasferì in Germania per non fare più ritorno in madrepatria. Che gli spettatori potessero passeggiare nei suoi quadri fino a perdercisi, a “sparirci dentro“, era il desiderio di Kandinsky. Sarà facile realizzarlo al Mudec, fino al 9 luglio.