Gli esuberi sono arrivati puntuali, i soldi per “salvare” l’Alitalia invece no. Sono condizionati al fatto che il sindacato accetti almeno 2mila esuberi e il taglio del 30% dello stipendio per piloti e assistenti di volo. Dopo più di tre mesi di attesa, il piano industriale della compagnia è un vero e proprio diktat delle banche creditrici e socie, Intesa e Unicredit. Senza contare che ripete un copione già visto nel 2008 quando il governo Berlusconi chiamò al capezzale dell’Alitalia i capitani coraggiosi sancendo il taglio del 7-10% degli stipendi e dando l’ok a 10mila licenziamenti. Una patata bollente per il ministro Carlo Calenda che, solo a metà gennaio, aveva definito “inaccettabile” la possibilità di far pagare ai lavoratori gli errori di gestione dei manager. Il governo dovrà ora infatti confrontarsi con la richiesta di ammortizzatori sociali che peseranno sulle casse pubbliche. Senza peraltro avere la certezza che questa volta la compagnia riesca a decollare.

Il tempo a disposizione per trovare un’intesa fra governo, lavoratori e azienda è davvero poco. Il consiglio non ha infatti varato un aumento di capitale e Alitalia ha cassa solo fino a fine aprile. La compagnia, che nel 2016 ha registrato 400 milioni di perdite, ha bisogno di almeno 900 milioni. Quattrocento dovrebbero arrivare dai soci con la conversione in azioni delle attuali linee di credito (180 milioni) concesse da Unicredit e Intesa, oltre alla trasformazione in capitale delle obbligazioni Alitalia in mano ad Etihad per circa 210 milioni. Per i restanti 500 milioni, i soci dell’ex compagnia di bandiera dovranno mettere mano al portafoglio. I soci arabi, che hanno il 49% del vettore, sono disposti a fare la loro parte. Il resto dovrà sborsarlo Cai, il veicolo dei capitani coraggiosi i cui soci più importanti sono Intesa (32%) e Unicredit (32,79%). Le due banche sottoscriveranno l’aumento pro-quota ma è molto probabile che debbano fare anche di più visto che i piccoli soci di Cai (dai Benetton ai Marcegaglia passando per la Immsi di Colannino e Poste) non sono propensi a iniettare nuova liquidità nell’ex compagnia di bandiera. Non è escluso, infine, che, nella partita, possano avere un ruolo anche Generali, che formalmente si è detta indisponibile a trasformare in azioni i suoi 300 milioni di obbligazioni Alitalia, e Cassa Deposti e Prestiti, ufficialmente non interessata all’operazione.

Con il denaro che entrerà dalla ricapitalizzazione, Alitalia potrà iniziare a ragionare sul futuro. Il cda, che ha cooptato l’ex manager Fiat e Rai, Luigi Gubitosi, al posto di Roberto Colaninno, ha infatti delineato le linee guida 2017-2019. Il piano industriale prevede la riduzione di un terzo delle spese per il personale (593 milioni nel 2015) e oltre 300 milioni l’anno di risparmi fino al 2019 (un miliardo in tre anni) con una sforbiciata ai costi del leasing degli aerei. Nello stesso arco temporale, la società guidata da Cramer Ball dovrebbe però anche riuscire ad aumentare i ricavi del 30% passando da un giro d’affari da 2,9 a 3,7 miliardi. Per gli advisor esterni Roland Berger e Kpmg, si tratta di ipotesi “realistiche e fattibili” che potranno riportare la compagnia in utile nel giro di tre anni. Grazie anche a un nuovo modello di business che prevede la creazione di una low cost su breve raggio e investimenti sul lungo raggio.

Dal sindacato arrivano le prime critiche. Per la Cub gli obiettivi non sembrano però così a portata di mano visto l’assottigliamento progressivo della flotta (20 aerei in meno nel piano). “Non mi sembra ci sia niente di nuovo in questo piano”, spiega al fattoquotidiano.it il segretario della Cub trasporti, Antonio Amoroso. “Il rischio è che la compagnia venga ridotta a poco più di un vettore locale secondo un disegno politico preciso già definito da tempo per consegnare il nostro ricco mercato alle compagnie straniere”, conclude, annunciando una giornata di sciopero dei lavoratori Alitalia e di tutto il comparto aereo per lunedì 20 marzo. Stando alle richieste dell’azienda, si prospetta un lungo braccio di ferro sul tema degli esuberi e del contratto in scadenza a maggio.

Una questione di cui con ogni probabilità dovrà occuparsi il presidente in pectore Luigi Gubitosi che, nei desiderata delle banche socie e creditrici Intesa e Unicredit, avrebbe dovuto essere un manager operativo. L’ad di Alitalia, Cramer Ball, dovrebbe mantenere salda la cloche di comando dell’ex compagnia di bandiera con l’obiettivo di far decollare l’azienda nel giro di tre anni. Ma non certo con la compagnia più sexy del mondo. Piuttosto con una società mutilata di segmenti strategici come la manutenzione, settore sono attesi circa 340 esuberi.

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