La democrazia ha vinto la battaglia contro l’autoritarismo. La piccola Olanda ha espresso un grande voto, ha commentato Mark Rutte, il vincitore delle elezioni legislative del 15 marzo. Lo davano davanti al populista Geert Wilders ma di un soffio, al massimo gli attribuivano 17-18 seggi, ne ha ottenuti 33, contenendo l’emorragia (ha perso rispetto allo scrutinio precedente otto seggi) e staccando il rivale che ha ottenuto 20 seggi, mentre i progressisti di D66 e i cristiano-democratici si sono fermati a 19. Brutto ruzzolone della sinistra: i laburisti hanno smarrito 29 dei loro 38 seggi. Un disastro.
Rutte ha ringraziato gli olandesi, accorsi in massa alle urne – l’82 per cento degli aventi diritto al voto, percentuale d’altri tempi – per avere fermato l’avanzata populista e rassicurato l’Unione europea: “E’ stata una vittoria per l’Europa”, non è da qui, ha sottolineato, che partirà il temuto “effetto domino” su Francia, Germania e Italia. Anzi, il messaggio che lanciamo è chiaro, senza equivoci: l’87 per cento degli olandesi è contro il rigetto viscerale dello straniero (soprattutto del musulmano) e dell’Europa; la tolleranza è un pilastro della nostra società; la società multiculturale non è così nociva come la dipingono gli xenofobi; il razzismo lo emarginiamo; ci sono valori fondanti della democrazia olandese che non si possono barattare con anatemi e slogan, tantomeno pretendere di governare senza spiegare come, salvo declinare in 259 parole – quelle del suo programma bonsai – i punti chiave della sua politica. Chiusura delle frontiere. Nexit: ossia via dall’Ue. Ritorno al fiorino. Niente moschee. Al bando il Corano. Tagli alla cultura e all’ecologia per aumentare il budget di Difesa e della sicurezza. Non a caso l’avevano battezzato il Trump “batavo”. Dimenticando che il 22 per cento della popolazione olandese è straniera. E che il 5 per cento è musulmana (come il sindaco di Rotterdam).
Avendo attaccato costantemente il governo Rutte per la sua indolenza nei confronti della minaccia islamica radicale, specie dopo gli attentati a Parigi, a Bruxelles, a Nizza e a Berlino, Wilders si era attribuito il ruolo di paladino di una crociata implacabile evocando il trito concetto dello “scontro di civiltà”. Il suo “Paese esempio” è Israele: beninteso, l’Israele che espande le colonie nei territori palestinesi e l’Israele fiero baluardo contro l’avanzata dell’Islam. Perché dietro, sostiene Wilders (come i suoi colleghi populisti europei), c’è il progetto di creare un califfato in Europa grazie all’aiuto occulto “dei 54 milioni di musulmani” che vivono nel suo territorio. Una bugia, poiché in realtà sono circa 20 milioni. E di bugie, Wilders ne ha propalate un fracco, in nome del “popolo” arrabbiato, deluso, frustrato: “Gli immigrati ci tolgono i nostri soldi”. “Riprendiamoci l’Olanda”, come se qualcuno l’avesse rubata…
Eppure, tutta la campagna elettorale è stata permeata su di lui che si è rivolto ai “piccoli Bianchi” e ai declassati, obbligando gli avversari a rivedere i loro programmi: c’è stata una sorta di contaminazione dei partiti di centrodestra che hanno integrate e rivisitato molte delle idee di Wilders. In un saggio del sociologo Koen Damhuis – Wegen naar Wilders, il cammino verso Wilders, ed. Singel, 2017 – si scopre per esempio che parte degli elettori populisti olandesi provengono dalla sinistra tradizionale, gente inquieta per il loro futuro e quindi ostili agli immigrati, visti come una minaccia. Ma ci sono anche artigiani, piccoli imprenditori e chi, lavorando molto e guadagnando bene, vede intaccato il proprio reddito dalle tasse che lo falciano pesantemente. Wilders li ha convinti che quei soldi presi dal fisco vanno in tasca agli immigrati. Infine, Koen Damhuis identifica un terzo filone di populisti acculturati, li chiama “gli ideologi”. Sono coloro che rinfacciano al governo di danneggiare il Paese preoccupandosi più della Grecia indebitata, degli immigrati e dei rifugiati, trascurando le necessità del popolo olandese. Costoro mitizzano un programma economico e sociale “alternativo”, vorrebbero rovesciare il sistema. E disintegrare lo Stato di diritto.
Ebbene, più che la paura degli immigrati è stata la paura del “disordine” in nome dell’identità nazionale a indurre gli olandesi a rifiutare il discorso dell’odio nel loro compatto no – sia pure polverizzato nella miriade di partiti che si sono sfidati in campagna elettorale (ben 28, compreso il Partito della Birra…) – e a rovesciare il loro consenso su Rutte e sulle altre formazioni anti-populiste: non a caso, i Verdi di Sinistra (GroenLinks) hanno ottenuto un vistoso successo, passando da 4 a 14 seggi.
Ora è chiaro che Rutte sarà premier per la terza volta. E che l’euroscetticismo all’Aja si è arenato. Ed è altrettanto chiaro che le alchimie per governare saranno complesse, ma assai meno di quel che si postulava prima del voto.
Il paesaggio politico è infatti abbastanza frammentato. Una coalizione si impone, e i verdi, in questo caso, possono essere l’ago della bilancia. Il governo uscente vedeva il VVD, il partito liberale di Rutte, alleato con il Partito del Lavoro (PVDA) di Lodewijk Asscher, che ha subìto un tracollo. I laburisti che erano quasi alla pari con il partito di Rutte, adesso hanno perso drammaticamente seggi e potere diciamo così “contrattuale”. In Parlamento entra anche il partito turco antirazzista Denk (Pensiero in olandese, eguaglianza in turco), fondato da Tunaham Kuzu e Selcuk Ozturk (ma erano già deputati, coi laburisti), due zeloti del Sultano di Ankara. E’ assai probabile che Rutte sonderà i liberali di sinistra progressisti di D66 e i Cristiano-democratici, insieme hanno 71 seggi, la maggioranza è a quota 76. A chi si rivolgerà per un appoggio esterno, nell’eventualità di un governo di minoranza? Ai laburisti scornati o ai rampanti Verdi? Intanto, il provocatore Wilders si è proposto come partner del futuro governo, sapendo benissimo che nessuno lo vuole tra i piedi. Durante la campagna elettorale, solo 50PLUS, una formazione di destra che punta sui pensionati ed è forte a Maastricht, ha detto di essere disponibile ad un’alleanza con il Partito della Libertà in caso di successo. In cambio ha chiesto che Wilders rinunciasse in toto al suo programma sull’immigrazione. Come chiedere a un banchiere di rinunciare ai quattrini.