UN TIRCHIO QUASI PERFETTO di Fred Cavayé. Con Dany Boon, Laurence Arné, Noémie Schmidt. Francia, 2016. Durata ’89 Voto 3/5 (DT)
Avvertenza: questo film fa sbellicare dalle risate. Almeno per un’ora buona. Francois Gautier insegna violino al conservatorio, ma è un tirchio inverecondo (in francese: radin, che è poi il titolo originale con il punto esclamativo in fondo). Di fronte a un padre spendaccione, per una promessa che ha recepito dentro la pancia di mamma, Francois è diventato avaro come nemmeno avrebbe potuto ideare Moliere. Ad esempio da adolescente porta la fidanzata alla multisala, ma davanti ai piccoli schermi all’entrata senz’audio e in bianco e nero (“così di film ne vedi ben sette”); da grande scappa di fronte alle collette dei colleghi, mangia cibo scaduto, non accende la luce in casa in attesa che si accendano i lampioni in strada e gli illumino il soggiorno. Ma un preservativo, ca va sans dire, scaduto e utilizzato in gioventù, fa riemergere una figlia che non sapeva di avere. Senza bisogno di scomodare la comicità surreale e/o demenziale, basta solo una deformazione grottesca del reale a rendere Un tirchio quasi perfetto una commedia ideale per prendere in giro senza troppe pretese la sindrome della tirchieria. Regia totalmente al servizio del testo e della presenza scenica della star francese ultrapopolare Dany Boon. A sua volta vulcanica maschera piccolo borghese, figura clownesca e tragica insieme, che rende universale un difetto altrimenti riducibile a stereotipo. Attorno a lui eccellenti comprimari consenzienti loro malgrado del difetto in esame, con perfino un dirigente di banca addetto al conto corrente di Gautier che gli fa da…psicoanalista. Cameo del campione di rugby Chabal, e una citazioncina di Shining nella gag incredibile del ristorante che seconda solo alla cena di Hollywood Party con Peter Sellers.